lunedì 23 agosto 2010

Israele-Palestina 3 Agosto

Sveglia alle 7h.
Colazione .
8h15 si parte per Hebron in taxi.
Per evitare ritardi ai check-points in caso di controlli le persone con il timbro di entrata in Israele vengono fatte sedere nei posti anteriori del pulmino (alcuni di noi infatti avevano preferito non farsi tibrare il passaporto all'ingresso in Israele... ovviamente questo faciliterà gli eventuali spostamenti in località che hanno l'embargo su Israele, ma per muoversi all'interno del territorio di Israele può dare difficoltà... trattandosi di una cosa legale non possono fare grandi storie... solo trattenere lungamente in interrogatori ma niente più).
Alla fine non risulta necessario in quanto riusciamo a passare tutte le frontiere con facilità (miracoli della targa gialla).


Durante il viaggio F. ci racconta la genesi del sionismo come movimento puramente politico e non religioso. Interessante come sotto l'ideologia sionista i concetti e le parole del lessico ebraico religioso perdano il contenuto religioso e vengano rivestiti di ideali politici. Gli ebrei religiosi sono quindi spesso contrari al sionismo, che ritengono quasi una bestemmia. Questo processo prende radici dal marxismo, e gran parte dei sionisti della prima ora sono infatti di matrice socialista.

Per la strada incontriamo vari insediamenti, torrette di controllo agli incroci, baracche di beduini, pastori in groppa a muli.





Arrivati ad Hebron, l'autista ci saluta dandoci un apprensivo appuntamento per un'ora dopo.
Attraversiamo il suk e ci fermiamo bussiamo ad una porta, ma non c'è nessuno che risponde. Essendo la porta aperta entriamo comunque e saliamo la scala, stretta e scalcinata.
Ad un certo punto dobbiamo fermarci per far passare una pattuglia di soldati che stavano scendendo dal tetto armati di tutto punto. Alla nostra vista non ha nessuna reazione particolare e una volta passata ci lascia salire indisturbati al tetto. La nostra spiegazione è che probabilmente non avrebbe dotuto essere lì e per evitare grane ci ignora (nel senso che questa pattuglia aveva l'aria di star facendo un giro di perlustrazione nelle case passando dai tetti, ma si tratta di una cosa ovviamente illegale che, a motivo delle armi che portano in collo, nessuno protesta, ma davanti alle nostre facce evidentemente occidentali era meglio non rischiare nemmeno che noi chiedessimo loro cosa facevano lì).
Mentre aspettiamo che scendano, gettiamo un'occhiata alle "stanze": materasso e qualche resto consunto di tappeto... tutto di una povertà davvero estrema...


Sul tetto, F. ci spiega alcuni luoghi attorno a noi: gli insediamenti ai piani alti di alcune case, la scuola occupata, le strade riservate ai coloni.
Scendiamo, un ragazzino ci vende dei braccialettini elastici con le perline a rappresentare la bandiera palestinese e dei cuoricini. Tutta fiera del mio grande operato lo compro... ma poi nel togliermelo ai check points lo perdo...
Dopodiché procediamo per le viuzze sempre più deserte del suk (il paragone con tre anni fa - l'ultima volta che ero stata ad Hebron prima di questa - qui il link al racconto di allora - è abbastanza desolante, già allora parecchie attività erano chiuse... ora ancora di più).



Incontriamo un negoziante che, con libro alla mano, ci racconta dei vari insediamenti.
Passato un check point arriviamo all'edificio contenente le tombe dei Patriarchi: entriamo prima dal lato ebraico e visitiamo la sinagoga, poi, dal lato musulmano, entriamo nella moschea.



Entrambe sono erette sulle tombe dei Patriarchi Abramo, Sara e Giuseppe (quest'ultima non è però oggetto di venerazione in quanto molto probabilmente non è la vera tomba). Sinagoga e moschea sono in realtà parte dello stesso edificio seppur con entrate rigorosamente separate e per passare dall'una all'altra occore passare da un posto di blocco israeliano (abbastanza rigoroso).
Entrambe hanno vista sulle stesse tombe da lati diversi: per evitare violenze fra le due comunità, anche quest'unico contatto tra le due parti è limitato da grate metalliche e uno spesso scudo di plastica.
Usciti dalla sinagoga, prima di entrare in moschea, un negozietto ci offre il caffè nella speranza che compriamo qualcosa. Accettiamo per cortesia tutti i caffè e i ragazzi comprano da bere. Non andiamo né sulla via di Abramo né nella parte degli scavi archeologici e delle mura di Davide.
In moschea le donne devono indossare una tunica incappucciata. Nelle zone di preghiera coi tappeti, bisogna togliersi anche le scarpe.
Dopo la moschea ci rendiamo conto che siamo già quasi un'ora in ritardo e bisogna correre rapidamente al pullman.
Per la strada, mi fermo a comprare il libro su Hebron e faccio compagnia a S. che contratta con grande successo per una tunica palestinese ed una kefiah.

La presenza massiccia di forze dell'ordine ad Hebron, le usurpazioni che vediamo e che sentiamo raccontare da tutti generano un clima di silenzio anche tra noi.

Ad Hebron è presente come supporto di pace anche un gruppo europeo TIPH: incontriamo per caso un'attivista del gruppo per la strada, ma riusciamo a scambiare con lei solo quattro parole.
TIPH: Temporary International Presence in the City of Hebron

Il CPT non è invece più presente (il mio primo contatto con Hebron 3 anni fa fu proprio attraverso Jhon del CPT).
CPT: Christian Peacmaker Teams.

La parte moderna della città che vediamo solo dal pullman appare molto più viva e vivace rispetto al centro storico e al suk che ormai è drammaticamente spopolato. Gli israeliani sono infatti insediati massicciamente nella parte antica: come 3 anni fa, gli insediamenti di Hebron sono nei piani superiori delle case ed impongono ancora ai mercanti delle strade di installare delle reti per proteggersi dalla spazzatura.

Con un ritardo di 1h30 arriviamo al pullman e partiamo subito per At-Tuwani.

Sulla strada per At-Tuwani vediamo sulle cime delle colline un gran numero di insediamenti. Il panorama si fa sempre più desertico e selvaggio. Ormai non incontriamo sulla strada che camion della spazzatura, qualche sporadica automobile, dei ragazzini sui muli e donne con bambini alla mano.





Più volte siamo costretti a spiegare all'autista come fare per raggiungere At-Tuwani anche con cartina alla mano... alla fine decidiamo di telefonare a "F.a" per chiederle di venirci incontro per strada. Poi, per fortuna F. si ricorda quale fosse la strada sterrata che porta al villaggio (la seconda dopo l'indicazione per una colonia) e la imbrocchiamo.
Incontriamo subito le nostre ospiti, "F.a" ed A., due volontarie di "operazione colomba", in gergo due "colombe".
Operation Dove
Operazione Colomba

L'impatto del villaggio è di altro modo. Il luogo è caldissimo, tutt'attorno pressoché deserto, le case sono fatte da muri scalcinati, e tante tende qua e là. Ci stavano aspettando come ospiti d'onore:
gli "internazionali".





I bambini ci accolgono con un misto di entusiasmo e di attenzione a non essere invadenti e ci fanno accomodare per terra nell'aia, dove per l'occasione mettono giù dei materassini. Accanto a noi c'è un gruppo di uomini arabi che riposa. C'era infatti un'importante riunione dei capi dei villaggi circostanti: era un giorno storico, per la prima volta sarebbero arrivati ad At-Tuwani l'elettricità e l'acqua corrente. Mentre "F.a" ed A. iniziano a raccontarci la lora esperienza, due bambini (una bimba di 5-6 anni e un bimbo di 9-10) ci servono un pasto abbondante e buonissimo, con pane arabo appena sfornato da dividerci strappandolo a mano, olio d'oliva e zatar per condirlo, una tazzona di zuppa di verdure e un piatto di riso cotto nel latte.

Il tutto concluso con un thè alla menta così buone come non si era mai gustato. Non ci portano nient'altro da bere: non avendo l'acqua corrente si servono di un pozzo e la razione giornaliera è davvero minima.

Dopo l'incontro con le due colombe

(di cui riportiamo qui i nostri appunti)

abbiamo occasione di parlare anche con una donna del villaggio che assieme al marito (hanno 32 anni e sono sposati da 16 anni) ha aperto una cooperativa in cui le donne del villaggio producono piccoli oggetti artigianali da vendere a quei pochi viaggatori che passano di lì e attraverso il canale di operazione colomba; a causa delle restrizioni imposte da Israele, non possono vendere i propri prodotti al circuito del commercio equo. Questa donna è venuta a vivere ad At-Tuwani dopo essersi sposata, ma è originaria di una città costiera. Questo le ha permesso di essere di più ampie vedute rispetto alle altre donne del villaggio e di poter essere la guida in un processo di autovalorizzazione ed autocoscienza. Ci racconta anche di come l'appoggio del marito sia stato essenziale per aprire la mentalità degli altri mariti e convincerli a lasciare le donne lavorare per la cooperativa.

Dopo l'incontro saliamo al punto più alto del paese da cui si può vedere tutto il villaggio, il deserto circostante, e varie colonie.



I bambini che ci vedono passare sono molto curiosi, ci chiedono il nome, ci porgono la manina per salutarci, e poi scappano via dietro ai loro asini. Altri più coraggiosi ed intraprendenti ci fanno compagnia in cima alla collinetta: molti di loro parlano un buon inglese che ci pemette di scambiare un po' di parole in allegria. Per salire calpestiamo sterpaglie secche e pungenti che trafiggono i nostri teneri piedini di europei, ma fanno molto divertire E. che è costretto a camminare senza carrozzina. Arriviamo così alla "sala civica": un bellissimo ed ombroso albero secolare circondato da un semicerchio di sassi su cui ci accampiano in attesa dell'arrivo del capo del villaggio: un ometto sveglio, con la pelle bruciata dal sole e le mani rotte dal lavoro nei campi, ma vestito da jeans nuovi e maglietta.
Parla un buon inglese e ci racconta della sua scelta di resistenza non-violenta e pacifista in cui è riuscito a coinvolgere, non senza iniziali grandi difficoltà, i capi dei villaggi limitrofi e le rispettive popolazioni. Noi siamo stanchi e provati da queste esperienze psicologicamente impegnative, ma lui continua a parlare nonostante il calo dell'attenzione. Ci racconta di divesi atti di violenza da parte
israeliana nel villaggio: case bruciate (tra cui la sua... è stato costretto a ricostruirla nascosta dentro ad una tenda), raccolti ed alberi di olivo distrutti, bambini presi a sassate e colpi di catena in faccia e sul collo. La risposta non-violenta del continuare la vita nella sua più normale quotidianità non è facile fra abusi violenti ed impedimenti burocratici da parte dell'amministrazione militare di occupazione. Le colonie circostanti sono in parte "legali" (nel senso di riconosciute dal governo israeliano, ma ovviamente non dalla comunità internazionale), in parte "avamposti" completamente illegali anche per le leggi israeliane. Ci saluta con un messaggio da portare in Italia:
"Raccontate, non dimenticate, e soprattutto rifiutate sempre nella vostra vita ogni forma di ingiustizia".

(Qui il link ad una intervista al capo del villaggio in occasione di una sua visita a Rimini.)

Mentre I. va in cima alla collina a fare foto agli insediamenti attorno, mi metto a chiacchierare col gruppo di clown. Sono un gruppo di animatori per bambini in situazioni di disagio in giro per il mondo e stavolta passano alcune settimane ad At-Tuwani. Sono riconoscibili per il caratteristico naso rosso e, alcuni, per altri simpatici dettagli quali un fiocchetto rosso alla barba. Scendiamo quindi tutti al pullman e ci rimettiamo in strada. Per fortuna è tardi e decidiamo di non fermarci a Betlemme: proprio in quelle ore ci sono degli scontri ed alcuni pacifisti italiani vengono arrestati.
Noi invece di dirigiamo decisamente verso Gerusalemme.
Doccia, cena e poi di nuovo al Sepolcro.
I ragazzi non ci sono ancora entrati ed è per loro la prima occasione.
Il monaco russo a guardia del Sepolcro fa parecchie sceneggiate e bisogna star proprio molto concentrati per non lasciarsi distrarre.
Alle 21h tutti fuori e quindi a visitare il Muro Occidentale in notturna.
Morta cerco di resiste fino all'albergo.

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