mercoledì 15 settembre 2010

Idan Barir è un ex soldato israeliano da Tel Aviv

Il racconto che pubblico di seguito è apparso su http://theforgivenessproject.org.uk/


Scendere dall'alto di questa collina dell'insediamento nella città di Jenin fu come andare dal paradiso all'inferno.


Da bambino ho avuto una idea molto chiara di quello che è stato patriottismo. Ero cresciuto con le immagini dei combattimenti gloriosi del 1967 e volevo essere come quei grandi eroi israeliano che erano entrato nella città vecchia di Gerusalemme.

Nel 1999, l'anno dopo sono stato arruolato, mi è stato inviato per la prima volta ai territori occupati, a nord di Nablus. E 'stato molto tranquillo e non abbiamo visto nessuna azione militare. La seconda volta, però, è stato molto diverso. La seconda intifada era appena scoppiata e siamo stati inviati in una zona frenetica vicino a Jenin. La nostra base era una soluzione quasi deserta chiamata Kadim, che aveva appena otto famiglie rimanenti. Scendendo da questo insediamento in cima alla collina nella città di Jenin, era come andare dal cielo giù in un inferno.

E 'stato un momento del tutto folle. Armati di pistole attacavamo i ragazzi che avevamo solo pietre attraverso serre di pomodoro e melanzane. Siamo stati addestrati a credere che ogni palestinese era una minaccia. Con la quinta settimana, quando tutte le serre palestinese erano state distrutte e quando avevamo calpestato tutto, abbiamo costruito le trincee militari dove una volta crescevano i pomodori e le melanzane.

Nell'aprile 2000, siamo stati portati a Hebron e inviati a una soluzione molto religiosa dove gli uomini portavano kippahs in testa. Uno dei fiaschi dell'operazione israeliana era il giardino di Kaleb. Kaleb era un colono cresciuto tra le vigne, nel cuore di una piccola cittadina palestinese. Arivvò attraverso il suo giardino alle 6 e se ne andò al tramonto e dieci di noi avevano il compito di sorvegliarlo qualsiasi ora. Fu durante uno notturno qui che sono diventato molto timoroso e cominciai a pensare a quello che stavamo facendo era ridicolo e ridondante. Dieci vite di persone venivano messe in pericolo per il bene di un idiota vignaiolo.

Una volta fuori dall'esercito sono stato trasferito a una unità riservista e nel 2006 siamo stati chiamati nuovamente a Jenin. La nostra base era un posto di blocco su una collina molto piccola, recintato con muri di cemento alti. Volevamo condurre incursioni notturne e imboscate con gas lacrimogeni solo per il gusto di farlo. Per alcuni è stato divertente, ma io sentivo che era una cosa senza scopo. Più tardi sono stato inviato a Qualquiliya a servire in un posto di blocco agricolo. Ogni mattina, avrevamo un incontro su un grande portico che si affaccia Tel Aviv. Il mio comandante ricorda in tutto il paese cercando di farci credere che questa era la terra che dobbiamo difendere. Avevano bisogno di darci uno scopo. Ci disse che avremmo affrontato numerose minacce durante il nostro tempo del dovere, compresi gli attacchi di coltello ed i tiri, ma la minaccia che ha generato più paura in noi è stata quella del Machsom Watch - un gruppo di attivisti per la pace israeliano femminile che stanno in silenzio con posti di blocco per protesta contro l'occupazione israeliana. Il mio ufficiale superiore ha detto, 'Se un palestinese ti minaccia è molto facile perchè si può sparare loro in testa, ma purtroppo non si può sparare al Machsom Watch'.

Come è accaduto, in quello stesso giorno, il Machsom Watch è venuto al mio posto di blocco e ho avuto modo di parlare con una donna molto bella dai capelli grigi che mi ha ricordato mia nonna. Io non ha accettato tutto quello che mi ha detto, ma ero orgoglioso che lei fosse lì.

Pochi mesi dopo, ero in viaggio in Germania, quando ho incontrato un palestinese di Ramallah che lavorava come cameriere. Il suo nome era Ahmed e mi ha raccontato una storia terribile di come era stato arrestato dalle forze di sicurezza israeliane e tenuto in un centro segreto per dieci giorni. L'investigatore aveva messo in una bara mezza piena d'acqua e lo lasciò lì per sei giorni. Ha detto il primo giorno non la toccò. Il secondo giorno aveva cacca e pipì su se stesso e le sue gambe cominciarono a congelare. Il terzo giorno, urlava e urlava, e dal quarto giorno stava pregando per la sua vita promettendo di dire loro ciò che volevano sapere. Lui era molto arrabbiato con gli israeliani e mi ha detto che in un altro tempo e luogo mi avrebbe ucciso.

Ciò che infine mi ha fatto capire che la violenza non era la soluzione stava vedendo in televisione le immagini della Israeli Defence Force (IDF) sul bombardamento alla periferia di Gaza con proiettili di artiglieria di fosforo. Nella formazione che avevamo sempre detto che era contro il Convenzioni di Ginevra per l'uso del fosforo, Ma giorno dopo giorno ho visto che queste bombe venivano usate e quindi ho sentito il portavoce militare israeliano negarlo a sera. Sentivo il mio mondo morale in collasso. Ero cresciuto credendo che l'esercito non ha mai mentito. Questo fu l'inizio di un nuovo modo di pensare per me. Ho scritto una lettera a mio comandante e dissi loro che non era più disposto a prendere parte ad un combattimento nei territori occupati palestinesi.

Come un israeliano provo così vergogna che il nostro esercito dica bugie. Inoltre, sentendo la storia di Ahmed ho provato ancora più vergogna. Se avessi la possibilità di incontrare di nuovo Ahmed gli direi: 'Io combatterei la guerra per voi, ma voglio che tu convinca gli altri che la vendetta non è la via da seguire.' Io non cerco il perdono da quelli che ho 'ho fatto male perché so che non lo otterrei. Né mi sento di avere il diritto di perdonare me stesso e liberarmi di colpa, o il forte senso di vergogna che provo. Il perdono deve essere qualcosa di più pratico che entrambe le parti possono trarre beneficio. Se traformiamo il tunnel della vendetta in qualcosa di costruttivo, allora questo è il perdono.'

sabato 4 settembre 2010

Israele-Palestina 5 Agosto 2010

Un gruppo di ragazzi si sveglia presto per andre a fare l'ultima visita e preghiera al Sepolcro.
Mentre i ragazzi fanno l'ultimo incontro di gruppo per riassumere e ricapitolare le esperienze fatte durante il viaggio, I. ed io ne approfittano per farci un ulteriore giro per Gerusalemme.
Andiamo alla chiesa della Natività di Maria presso i Padri Bianchi.


Cerchiamo poi di trovare un internet café per controllare il volo: tutti gli indirizzi citati dalla Lonely sono o chiusi o inesistenti, ma con un po' di fortuna ne troviamo uno accanto all'albergo: il volo è confermato, per cui possiamo partire di buona lena col solito pulmino alla volta dell'aeroporto. Qui c'è una grande trafila di controlli: il primo ancor prima di entrare nel recinto dell'aeroporto. Un poliziotto chiede i documenti all'autista e al collega (il referente arabo dell'agenzia turistica italiana) e poi fa scendere F. per un interrogatorio breve ma dettagliato. Specie sui luoghi da noi visitati. F. sceglie di menzionare anche Hebron, per cui anche per noi la consegna sarà di dire la verità.
L'interrogatorio grosso è riservato a F. e S. (che è in testa al gruppo). Noi altri dietro ce la caviamo con una lunga attesa di un'oretta e con delle domande standard. Al controllo delle valigie passano tutti tranquilli tranne ovviamente io... non so come abbiano fatto a vedere ai raggi X dentro al mio zaino che il libro che avevo era un libro illustrante la situazione di Hebron... fattostà che mi fermano, mi aprono tutta il mio zaino per arrivare a quello, mi chiedono dove l'ho comprato e perchè... rispondo... e festa finita...
Arriviamo al gate: panino israeliano per pranzo, partitella a carte e poi si sale a bordo.
Il volo è "Neos", il pranzo che ci viene servito è di assoluto rilievo: lasagne, insalata, dolcetto sacher fresco. E da bere ci viene servito vino quasi a volontà. Una compagnia da segnalare!
Arrivati a Verona è il momento dei saluti: alcuni dei ragazzi coi lucciconi, altri sommersi dai genitori curiosi di sapere delle avventure.
Noi ci dirigiamo al parcheggio low-cost a recuperare la macchina proprio quando sta scoppiano il temporale (che ovviamente prendiamo in pieno ed arriviamo alla macchina fradici). Per la strada accendiamo il riscaldamento a 28 gradi. Un bel salto dall'afa di Gerusalemme. Che fortunatamente però non causa malanni nei giorni successivi. Visto il maltempo decidiamo di rientrare a Trento per la strada normale (il temporale era talmente forte che non me la sentivo proprio di prendere l'autostrada).

E con questo si conclude il nostro racconto delle viaggio.

-FINE-

Tamar (Combattants For Peace)

Appunti di un incontro.

Non si sente di essere un "israeliano medio", nel panorama nazionale è anzi molto estremista. È amica di Rami del parents' circle. È cresciuta in una piccola città di Galilea. Non è religiosa.
In Israele, sionismo ed esercito sono una specie di religione. Prova una certa emozione quando cammina sulla terra di Israele, ma differentemente dal sionista tipico non ha problema ad accettare che non sia esclusivamente sua. Nella mentalità sionista, essere un buon soldato è un ideale molto sentito fin da bambini, ed entrare a far parte di un corpo d'élite dell'esercito è il sogno di molti giovani. Anche negli appuntamenti romantici è argomento tipico di parlare del reparto in cui si è svolto il servizio militare. La celebrazione del "memorial day" è molto sentita in Israele ed ha aspetti molto bellicosi di incitamento a combattere contro tutto il resto del mondo che ce l'ha con Israele.
Uno degli eventi principali organizzati da
"Combattants For Peace"
è un "memorial day" alternativo, cui partecipano sia israeliani che palestinesi e si riflette su come si possano risolvere i conflitti senza combattere. È stato già organizzato per cinque anni a Tel Aviv con grande successo.
Combattants for peace coinvolge persone che hanno combattuto, sia nell'esercito israeliano (IDF, Israeli Defense Forces), sia come "terroristi" o "combattenti per la libertà" (a seconda dei punti di vista). Tutti sono accomunati dall'idea che combattere non serva allo scopo della pace e della sicurezza, anzi.
Inizialmente le due parti si guardavano con grande sospetto reciproco e c'era grande nervosismo. Poi le persone hanno capito che la situazione era simmetrica e si sono rilassati. Svolgono anche azioni non-violente contro l'occupazione, nell'idea che la giustizia sia un prerequisito per la pace. In particolare sono contro la "normalizzazione" del conflitto e dell'occupazione. La soluzione politica intravista è quella dei due stati.
CfP ha organizzato uno spettacolo teatrale che viene presentato davanti a gruppi di soldati, e in cui i soldati vengono rappresentati in maniera molto perturbante. Ci sono pure del palestinesi che recitano il ruolo dei soldati israeliani: è un ottimo modo per entrare nei panni dell'altro e capirne le ragioni. Purtroppo è molto più facile avere visibilità sui grandi giornali internazionali quali il Guardian o il New York Times che sulle testate nazionali israeliane. Addirittura si presentano solo quando succede qualcosa di violento in occasione di qualche evento.
La sua esperienza nell'esercito non è stata di combattente. Lavorava a Sderot come insegnante nelle scuole. Ha comunque ricevuto tutto il training alle armi ed è stata molto imbevuta di ideologia sionista. La conversione al pacifismo non è stata per lei improvvisa, ha iniziato ad interessarsi alla politica quando è venuta a Gerusalemme. Da studentessa universitaria ha visto il muro e come questo taglia i centri abitati a metà (c'è un caso in cui divide il giardino di una scuola a metà). La gente normale in Israele sa molto poco di quanto succede realmente nei territori e delle condizioni di vita dei palestinesi. Ad esempio pensano che i palestinesi godano della piena cittadinanza di Israele, mentre i cittadini di Gerusalemme possono in realtà votare per il comune ma non per il parlamento.
Come associazione, CfP organizzano gite nei territori per far conoscere alla gente la realtà e, p.es., sfatare le leggende sulla pericolosità di andare nei territori. Di prima battuta, la gente trova le opportunità offerte dalle colonie interessanti: terra e case a buon prezzo, aiuti economici dal governo, etc. Sebbene i coloni si vantino sempre di essere idealisti e disinteressati e di sacrificarsi per la causa nazionale, spesso in realtà ne hanno un grande ritorno economico grazie agli aiuti dallo stato: il governo attuale è il più a destra della storia di Israele e sostiene fortemente le colonie. La grossa differenza fra sinistra e destra in Israele è appunto sulla gestione dei territori occupati.
L'esercito offre grandi opportunità ai giovani, p.es. paga gli studi di medicina se poi uno si arruola come medico militare. Servizio militare è fondamentale per avere un buon lavoro: molte offerte di lavoro richiedono esplicitamente di aver già effettuato il servizio militare, il che taglia automaticamente fuori gli arabi. I camerati riservisti sono spesso considerati come i "veri amici" dall'israeliano medio: per questo motivo, CfP cerca di offrire la possibilità di costruirsi un gruppo alternativo di amici. Gli obiettori di coscienza che rifiutano il richiamo annuale sono visti molto male nella società e rischiano anche la galera. In gran parte dei casi non rifiutano il servizio militare in toto, solo si rifiutano di servire nei territori occupati.
I commilitoni spesso non considerano male il fatto di militare in CfP, soprattutto perché hanno un motivo ideologico per la pace. Gli ebrei americani hanno recentemente modificato le loro posizioni politiche: da ferventi nazionalisti, all'idea che la politica attuale sta suicidando lo stato di Israele. Questo spostamento a sinistra è avvenuto negli ultimi anni.
Il servizio militare obbligatorio rende la società israeliana molto violenta, volgare e priva di rispetto per la diversità, anche nel senso di semplice razzismo. Lei ha un cugino pilota di aerei militari F16 che viene spesso richiamato e ha svolto varie missioni di bombardamento in Libano e a Gaza. Praticamente non si parlano. Dopo aver ucciso gente bambardandoli senza vederli, il suo carattere è diventato molto più cinico e spiegato.
A breve termine, la soluzione del conflitto è a due stati (questo è quanto ci risponde Tamar alla nostra domanda "Che soluzione vedi per il conflitto?"). Per lei però l'idea di stato ebraico non ha senso: mentre lo aveva dopo l'Olocausto in seguito al trauma, quasi come compensazione, adesso sarebbe un'idea razzista definire la cittadinanza su base etnica. Sul lungo termine non è quindi un'opzione legittima, ma sul breve termine di qualche generazione è impossibile stare assieme dopo un conflitto così lacerante. Gli stessi palestinesi non accetterebbero infatti di stare in uno stato senza avere la piena indipendenza. Il problema più difficile da risolvere restano le colonie.
Il sionismo sta diventando sempre più nazionalista e fascista e sta facendo passare varie leggi in questa direzione. Specialmente gli ebrei russi (attualmente sono intorno al milione) sono terribilmente spaventati dalle popolazioni mediorientali, viste quasi come diaboliche. Il loro partito ha spinto per varie leggi fasciste, quali l'obbligo del giuramento di fedeltà allo stato ebraico, oppure l'interdizione di parlare della guerra del '48 come della "catastrofe". I pilastri del sionismo quali avere uno stato nazionale ebraico diventano sempre più radicali.
Gli arabi-israeliani spesso non parlano di politica per timore di ripercussioni nella loro professione. P.es. conosce un traduttore che si rifiuta di lavorare per CfP per paura di perdere il lavoro all'università; è infatti capitato che qualcuno fosse licenziato per le proprie opinione. Altri fra gli arabi-israeliani che invece si interessano di politica sono ancora più radicali del palestinesi e rifiutano una soluzione a due stati in quanto li condannerebbe a restare minoranza in Israele. Nella Knesset ci sono meno di dieci parlamentari arabo-israeliani: una maggioranza che necessiti il supporto degli arabi è detta "arab majority" e non è considerata una vera maggioranza.
È opinione diffusa in Israele che imparare dall'Olocausto significhi che debba accadere di nuovo agli ebrei; per questo motivo bisogna essere forti e sapersi difendere. Una famosa storica che lavorava come consigliere per il ministero dell'educazione è stata licenziata per aver sostenuto che si debba spiegare l'Olocausto perchè non capiti di nuovo a nessuno (e non solo agli ebrei).
Il nonno di Tamar è arrivato in Israele negli anni '20 da Kiev, è stato membro dell'agenzia ebraicam era medico oculista e fervente sionista. La nonna veniva di Moldavia. La madre è nata in Israele. Il padre aveva la famiglia in Canada ed è venuto in Israele come "eroe" per difendere lo stato.

Israele-Palestina 4 agosto 2010

Alla mattina partiamo tutti belli motivati per andare a vedere un museo ebraico, ma giusto sotto il muro occidentale F. viene colpito da un attacco dissenterico e non se la sente di continuare. Torna quindi in albergo. Noi decidiamo che il museo senza di lui sarebbe stato inutile ed andiamo invece alla spianata delle moschee. Mille controlli prima di farci entrare (ovviamente dal lato da cui entrano i non-musulmani). Ci fermiamo all'ingresso ad ascoltare M. che ci legge la guida archeologica lasciataci da F.. Fortunatamente era scritto molto in grande che si trattava di una guida storico-archeologica perché una delle guardie è immediatamente arrivata a riprenderci sospettando che stessimo leggendo la Bibbia.
Restiamo quindi a gironzolare per la spianata fin verso le 10h





e poi ci dirigiamo verso porta Giaffa.
Arrivati alla porta ci separiamo.
Con I. andiamo in cerca della fermata del bus da prendere nel pomeriggio per andare allo Yad Vashem (museo dell'Olocausto). Anche io vengo colpita da un attacco dissenterico ma cerca di resistere. Le indicazioni dell'ufficio informazioni turistiche sono piuttosto laconiche ma riusciamo comunque ad individuare la fermata del bus n.20.
Torniamo quindi in città.
Ci fermiamo a mangiare un panino vicino al suk. Intanto arrivano alcuni dei nostri che assaltano un coffee shop per fare l'esperienza del narghilè.
Sulla via del ritorno mi fermo da una signora di strada che parlava solo arabo, ma il linguaggio dei gesti è universale e riesco a spiegarle che voglio tre fichi d'india. Questa signora con le sue mani grosse e ruvide me li pela a mani nude senza colpo ferire. In effetti saranno abbastanza utili per bloccare la dissenteria.
Arrivati all'appuntamento troviamo F. che sembra stare meglio.
Prendiamo quindi il bus.
Il tragitto è lungo.
Passiamo accanto all'ennesimo ponte di Calatrava (questo sembra che vogliano demolirlo in quanto in dissonanza con l'ambiente circostante).
Arriviamo al museo, ci muniamo di cuffiette in modo da ascoltare F. che ci fa da guida col microfono.
A noi si aggrega una buffissima famiglia di romani de Roma (moglie, marito e due figli).
Il museo ha la forma di un'arca rovesciata (che simboleggia il popolo ebraico rovesciato) che poggia sul nulla e termina con un'enorme terrazza con vista su tutta la valle prospiciente Gerusalemme (popolo ebraico, guarda avanti, alzati e pensa al futuro: questa sarà la tua terra...).

Il museo è moderno e molto dettagliato. Affronta molti temi tra cui la propaganda antisemita nazista, la nascita del ghetti e la vita nei più famosi fra questi attraverso una ricostruzione basata anche su storie individuali, poi la deportazione, la "vita" nei lager, la formazione ed i generali delle SS, le fosse comuni, i fascicoli dei prigionieri e finanche la sezione dei bambini. È senz'altro un museo ricco e dettagliato, preciso e toccante
Ne esco (non solo io) con un certo senso di tristezza... non solo per le cose viste ma forse anche perché sorge sul luogo di un villaggio arabo distrutto nel '48, o forse perché in fin dei conti è difficile inquadrare l'Olocausto in una prospettiva più ampia e cercare di analizzarne le radici in senso più generale (sembra quasi sottintendere che l'Olocausto è un evento unico nella storia)...
Tralasciamo il contenuto del libro dei commenti dei visitatori.
Prima di ripartire verso la città I. fa due passi per il viale dei Giusti (quello del lacrimevole finale di Schindler's list) e poi un salto alla libreria del museo. Cerco il libro di poesie di Katsnelson che però risulta (strano!) esaurito. Curiosando fra gli scaffali si trovano classici storici, ma anche roba più moderna e pure controversa, come "Maus", l"Onda" (il libro per bambini da cui è ispirato l'omonimo film), e pure "le benevole" (...).
Doccia e cena in albergo e poi la serata continua con l'incontro con Tamar, membro dell'associazione "Combattants For Peace" che ci racconta il punto di vista dei pacifisti israelinai.
Qui il link a nostri appunti dell'incontro con Tamar.

Operazione Colomba

Operazione Colomba è un corpo non-violento di pace fondato da don Benzi.
Lavorano in aree di conflitto cercando di schierarsi solo contro le ingiustizie senza prendere posizione per nessuna delle parti in lotta, anzi il lavoro deve coinvolgere entrambe le parti. Attualmente hanno progetti aperti in Israele-Palestina, in Kosovo, in Albania, a Castel Volturno (su problemi di mafia e di immigrazione), in Colombia. Il lavoro è svolto da volontari, sia per periodi brevi (1-3 mesi), sia per periodi lunghi (1-3 anni). Prima di partire sul campo, i volontari ricevono una formazione in Italia.
Ad At-Tuwani sono presenti dal 2004 e la Colomba lavora in collaborazione con una base locale con idee non-violente. Principalmente lavora coi bambini della comunità.
Il villaggio è una comunità agricolo-pastorale nelle vicinanze del deserto, fondamentalmente molto pacifica. Nei dintori del villaggio sorgono 4 grosse colonie israeliane, abitate da religiosi ed ultra-nazionalisti; alcuni di loro neanche riconoscono lo stato di Israele attuale ma ambiscono ad una Israele biblica fino ed oltre al Giordano (vedi le due linee azzurre nella bandiera dello stato di Israele: esse simboleggiano infatti il mare da un lato e il Giordano dall'altro quali confini naturali dello stato di Israele). Molti vestono secondo i dettami religiosi con kippah e treccine e di sabato sono tutti in bianco. Curiosamente però il sabato è proprio il giorno degli attacchi più frequenti al villaggio, quasi che usino il rito del riposo come un alibi dietro cui nascondersi. In genere attaccano le case più esposte del villaggio in gruppi di qualche decina di persone, ben organizzate e spesso provenienti da varie colonie. Sul sito di O.C. sono disponibili video di attacchi. Ne linkiamo qui di seguito uno:
Coloni israeliani mascherati attaccano

E dal momento che At Tuwani sorge nella zona C (sotto controllo militare ed amministrativo di Israele), per sporgere denuncia occurre andare al posto di polizia israeliano di Qiriat Arba.
Nel gennaio 2009 le colombe hanno provato ad andare a Gaza, ma non sono riuscite ad ottenere il permesso di ingresso. Hanno ripiegato su Sderot, con l'idea di condividere comunque le sofferenze della popolazione e dar voce a chi non ha voce. In genere il rapporto coi soldati è più facile che con i coloni: spesso sono di leva o riservisti senza alcun interesse a difendere gli ultra-nazionalisti delle colonie. In vari casi hanno anzi mostrato di apprezzare il lavoro di un'organizzazione che opera super partes in nome dei diritti di tutti.
Il lavoro delle colombe è principalmente di condividere le sofferenze e la vita quotidiana della gente del villaggio. Accompagnano i bambini (da 6 a 13 anni) a scuola cercando di rendere sicuro il loro cammmino verso la scuola proteggemdoli dall'attacco dei coloni. In seguito ad un attacco di coloni che nel 2005 ha causato feriti fra volontari internazionali, i bambini hanno una scorta militare israeliana. I volontari di O.C. monitorano che tutto si svolga secondo le regole. Inoltre accompagnano i pastori con le greggi nei campi a loro abituali (che spesso si trovano nei pressi di colonie o avamposti) e stanno di vedetta per difenderli dai militari che pattugliano e/o che vengono chiamati dai coloni. Queste operazioni sono svolte da O.C. in collaborazione anche con l'analoga organizzazione americana C.P.T. (Christian Peacemaker Teams).
Negli ultimi anni si è assistito ad una "normalizzazione" dell'occupazione israeliana. Tutto è diventato più istituzionale, per esempio i posti di frontiera sono stati organizzati in maniera stabile. Il che non ha assolutamente eliminato gli abusi, per esempio è accaduto che una festa di compleanno di una soldatessa abbia bloccato per 40 minuti un check-point.
Un grave episodio di violenza ebbe luogo ad At Tuwani nel 2003. Un gruppo di coloni attacca dei pastori. C'è una lotta corpo a corpo, un pastore ruba un'arma ad un colono e lo uccide. Il giorno dopo la polizia fa irruzione nel villaggio e compie un'esecuzione sommaria del pastore davanti alla sua famiglia. Il caso è tuttora aperto e degli avvocati israeliani stanno difendendo la causa del pastore ucciso sommariamente per vendetta.
Il capo del villaggio di At-Tuwani spinge fortemente per una resistenza non-violenta, ma non è per niente facile trattenere specie i giovani da compiere atti di vendetta contro le ingiustizie dell'occupazione. Varie associazioni collaborano in questa direzione. La resistenza non-violenta consiste nel non rispondere con la violenza alla violenza ma di cercare fermamente di continuare a vivere come prima e, per esempio, riparare ogni volta i danni causati dagli attacchi. Sono stati organizzati eventi, per esempio incontri di bambini del villaggio con israeliani, in modo da combattere gli stereotipi che tutti gli israeliani sono coloni e tutti i palestinesi sono terroristi. In un'occasione fu fatta una catena umana per difendere i nuovi piloni dell'elettricità. Proprio in questi giorni, l'acqua corrente sta arrivando per la prima volta al villaggio: è un caso unico che sia stato dato il permesso di allacciarsi alla stessa rete delle colonie.
All'inizio degli anni 2000 è stata fondata una cooperativa di donne. La leader è arrivata al villaggio da una città ed ha trovato una situazione di estremo maschilismo. Grazie ad un'associazione pacifista israeliana, ha intrapreso un'attività artigianale di ricamo. Il ricavo va a sostegno dell'economia familiare e per permettere alle ragazze di proseguire con gli studi. Per le donne stesse è pure un'occasione di incontrarsi tra loro indipendentemente dai mariti. Inizialmente era formata da 7 donne soltanto (molti mariti non erano infatti contenti che le loro mogli vi si impegnassero), adesso conta 32 membri da 5 villaggi divesi e vendono i prodotti a delegazioni e gruppi di passaggio. Il fatto di essere in zona C impedisce infatti di accedere al commercio con l'estero, neppure alla rete equo-solidale. Presto ci sarà in programma una gita delle donne al mare.