lunedì 23 agosto 2010

Israele-Palestina 3 Agosto

Sveglia alle 7h.
Colazione .
8h15 si parte per Hebron in taxi.
Per evitare ritardi ai check-points in caso di controlli le persone con il timbro di entrata in Israele vengono fatte sedere nei posti anteriori del pulmino (alcuni di noi infatti avevano preferito non farsi tibrare il passaporto all'ingresso in Israele... ovviamente questo faciliterà gli eventuali spostamenti in località che hanno l'embargo su Israele, ma per muoversi all'interno del territorio di Israele può dare difficoltà... trattandosi di una cosa legale non possono fare grandi storie... solo trattenere lungamente in interrogatori ma niente più).
Alla fine non risulta necessario in quanto riusciamo a passare tutte le frontiere con facilità (miracoli della targa gialla).


Durante il viaggio F. ci racconta la genesi del sionismo come movimento puramente politico e non religioso. Interessante come sotto l'ideologia sionista i concetti e le parole del lessico ebraico religioso perdano il contenuto religioso e vengano rivestiti di ideali politici. Gli ebrei religiosi sono quindi spesso contrari al sionismo, che ritengono quasi una bestemmia. Questo processo prende radici dal marxismo, e gran parte dei sionisti della prima ora sono infatti di matrice socialista.

Per la strada incontriamo vari insediamenti, torrette di controllo agli incroci, baracche di beduini, pastori in groppa a muli.





Arrivati ad Hebron, l'autista ci saluta dandoci un apprensivo appuntamento per un'ora dopo.
Attraversiamo il suk e ci fermiamo bussiamo ad una porta, ma non c'è nessuno che risponde. Essendo la porta aperta entriamo comunque e saliamo la scala, stretta e scalcinata.
Ad un certo punto dobbiamo fermarci per far passare una pattuglia di soldati che stavano scendendo dal tetto armati di tutto punto. Alla nostra vista non ha nessuna reazione particolare e una volta passata ci lascia salire indisturbati al tetto. La nostra spiegazione è che probabilmente non avrebbe dotuto essere lì e per evitare grane ci ignora (nel senso che questa pattuglia aveva l'aria di star facendo un giro di perlustrazione nelle case passando dai tetti, ma si tratta di una cosa ovviamente illegale che, a motivo delle armi che portano in collo, nessuno protesta, ma davanti alle nostre facce evidentemente occidentali era meglio non rischiare nemmeno che noi chiedessimo loro cosa facevano lì).
Mentre aspettiamo che scendano, gettiamo un'occhiata alle "stanze": materasso e qualche resto consunto di tappeto... tutto di una povertà davvero estrema...


Sul tetto, F. ci spiega alcuni luoghi attorno a noi: gli insediamenti ai piani alti di alcune case, la scuola occupata, le strade riservate ai coloni.
Scendiamo, un ragazzino ci vende dei braccialettini elastici con le perline a rappresentare la bandiera palestinese e dei cuoricini. Tutta fiera del mio grande operato lo compro... ma poi nel togliermelo ai check points lo perdo...
Dopodiché procediamo per le viuzze sempre più deserte del suk (il paragone con tre anni fa - l'ultima volta che ero stata ad Hebron prima di questa - qui il link al racconto di allora - è abbastanza desolante, già allora parecchie attività erano chiuse... ora ancora di più).



Incontriamo un negoziante che, con libro alla mano, ci racconta dei vari insediamenti.
Passato un check point arriviamo all'edificio contenente le tombe dei Patriarchi: entriamo prima dal lato ebraico e visitiamo la sinagoga, poi, dal lato musulmano, entriamo nella moschea.



Entrambe sono erette sulle tombe dei Patriarchi Abramo, Sara e Giuseppe (quest'ultima non è però oggetto di venerazione in quanto molto probabilmente non è la vera tomba). Sinagoga e moschea sono in realtà parte dello stesso edificio seppur con entrate rigorosamente separate e per passare dall'una all'altra occore passare da un posto di blocco israeliano (abbastanza rigoroso).
Entrambe hanno vista sulle stesse tombe da lati diversi: per evitare violenze fra le due comunità, anche quest'unico contatto tra le due parti è limitato da grate metalliche e uno spesso scudo di plastica.
Usciti dalla sinagoga, prima di entrare in moschea, un negozietto ci offre il caffè nella speranza che compriamo qualcosa. Accettiamo per cortesia tutti i caffè e i ragazzi comprano da bere. Non andiamo né sulla via di Abramo né nella parte degli scavi archeologici e delle mura di Davide.
In moschea le donne devono indossare una tunica incappucciata. Nelle zone di preghiera coi tappeti, bisogna togliersi anche le scarpe.
Dopo la moschea ci rendiamo conto che siamo già quasi un'ora in ritardo e bisogna correre rapidamente al pullman.
Per la strada, mi fermo a comprare il libro su Hebron e faccio compagnia a S. che contratta con grande successo per una tunica palestinese ed una kefiah.

La presenza massiccia di forze dell'ordine ad Hebron, le usurpazioni che vediamo e che sentiamo raccontare da tutti generano un clima di silenzio anche tra noi.

Ad Hebron è presente come supporto di pace anche un gruppo europeo TIPH: incontriamo per caso un'attivista del gruppo per la strada, ma riusciamo a scambiare con lei solo quattro parole.
TIPH: Temporary International Presence in the City of Hebron

Il CPT non è invece più presente (il mio primo contatto con Hebron 3 anni fa fu proprio attraverso Jhon del CPT).
CPT: Christian Peacmaker Teams.

La parte moderna della città che vediamo solo dal pullman appare molto più viva e vivace rispetto al centro storico e al suk che ormai è drammaticamente spopolato. Gli israeliani sono infatti insediati massicciamente nella parte antica: come 3 anni fa, gli insediamenti di Hebron sono nei piani superiori delle case ed impongono ancora ai mercanti delle strade di installare delle reti per proteggersi dalla spazzatura.

Con un ritardo di 1h30 arriviamo al pullman e partiamo subito per At-Tuwani.

Sulla strada per At-Tuwani vediamo sulle cime delle colline un gran numero di insediamenti. Il panorama si fa sempre più desertico e selvaggio. Ormai non incontriamo sulla strada che camion della spazzatura, qualche sporadica automobile, dei ragazzini sui muli e donne con bambini alla mano.





Più volte siamo costretti a spiegare all'autista come fare per raggiungere At-Tuwani anche con cartina alla mano... alla fine decidiamo di telefonare a "F.a" per chiederle di venirci incontro per strada. Poi, per fortuna F. si ricorda quale fosse la strada sterrata che porta al villaggio (la seconda dopo l'indicazione per una colonia) e la imbrocchiamo.
Incontriamo subito le nostre ospiti, "F.a" ed A., due volontarie di "operazione colomba", in gergo due "colombe".
Operation Dove
Operazione Colomba

L'impatto del villaggio è di altro modo. Il luogo è caldissimo, tutt'attorno pressoché deserto, le case sono fatte da muri scalcinati, e tante tende qua e là. Ci stavano aspettando come ospiti d'onore:
gli "internazionali".





I bambini ci accolgono con un misto di entusiasmo e di attenzione a non essere invadenti e ci fanno accomodare per terra nell'aia, dove per l'occasione mettono giù dei materassini. Accanto a noi c'è un gruppo di uomini arabi che riposa. C'era infatti un'importante riunione dei capi dei villaggi circostanti: era un giorno storico, per la prima volta sarebbero arrivati ad At-Tuwani l'elettricità e l'acqua corrente. Mentre "F.a" ed A. iniziano a raccontarci la lora esperienza, due bambini (una bimba di 5-6 anni e un bimbo di 9-10) ci servono un pasto abbondante e buonissimo, con pane arabo appena sfornato da dividerci strappandolo a mano, olio d'oliva e zatar per condirlo, una tazzona di zuppa di verdure e un piatto di riso cotto nel latte.

Il tutto concluso con un thè alla menta così buone come non si era mai gustato. Non ci portano nient'altro da bere: non avendo l'acqua corrente si servono di un pozzo e la razione giornaliera è davvero minima.

Dopo l'incontro con le due colombe

(di cui riportiamo qui i nostri appunti)

abbiamo occasione di parlare anche con una donna del villaggio che assieme al marito (hanno 32 anni e sono sposati da 16 anni) ha aperto una cooperativa in cui le donne del villaggio producono piccoli oggetti artigianali da vendere a quei pochi viaggatori che passano di lì e attraverso il canale di operazione colomba; a causa delle restrizioni imposte da Israele, non possono vendere i propri prodotti al circuito del commercio equo. Questa donna è venuta a vivere ad At-Tuwani dopo essersi sposata, ma è originaria di una città costiera. Questo le ha permesso di essere di più ampie vedute rispetto alle altre donne del villaggio e di poter essere la guida in un processo di autovalorizzazione ed autocoscienza. Ci racconta anche di come l'appoggio del marito sia stato essenziale per aprire la mentalità degli altri mariti e convincerli a lasciare le donne lavorare per la cooperativa.

Dopo l'incontro saliamo al punto più alto del paese da cui si può vedere tutto il villaggio, il deserto circostante, e varie colonie.



I bambini che ci vedono passare sono molto curiosi, ci chiedono il nome, ci porgono la manina per salutarci, e poi scappano via dietro ai loro asini. Altri più coraggiosi ed intraprendenti ci fanno compagnia in cima alla collinetta: molti di loro parlano un buon inglese che ci pemette di scambiare un po' di parole in allegria. Per salire calpestiamo sterpaglie secche e pungenti che trafiggono i nostri teneri piedini di europei, ma fanno molto divertire E. che è costretto a camminare senza carrozzina. Arriviamo così alla "sala civica": un bellissimo ed ombroso albero secolare circondato da un semicerchio di sassi su cui ci accampiano in attesa dell'arrivo del capo del villaggio: un ometto sveglio, con la pelle bruciata dal sole e le mani rotte dal lavoro nei campi, ma vestito da jeans nuovi e maglietta.
Parla un buon inglese e ci racconta della sua scelta di resistenza non-violenta e pacifista in cui è riuscito a coinvolgere, non senza iniziali grandi difficoltà, i capi dei villaggi limitrofi e le rispettive popolazioni. Noi siamo stanchi e provati da queste esperienze psicologicamente impegnative, ma lui continua a parlare nonostante il calo dell'attenzione. Ci racconta di divesi atti di violenza da parte
israeliana nel villaggio: case bruciate (tra cui la sua... è stato costretto a ricostruirla nascosta dentro ad una tenda), raccolti ed alberi di olivo distrutti, bambini presi a sassate e colpi di catena in faccia e sul collo. La risposta non-violenta del continuare la vita nella sua più normale quotidianità non è facile fra abusi violenti ed impedimenti burocratici da parte dell'amministrazione militare di occupazione. Le colonie circostanti sono in parte "legali" (nel senso di riconosciute dal governo israeliano, ma ovviamente non dalla comunità internazionale), in parte "avamposti" completamente illegali anche per le leggi israeliane. Ci saluta con un messaggio da portare in Italia:
"Raccontate, non dimenticate, e soprattutto rifiutate sempre nella vostra vita ogni forma di ingiustizia".

(Qui il link ad una intervista al capo del villaggio in occasione di una sua visita a Rimini.)

Mentre I. va in cima alla collina a fare foto agli insediamenti attorno, mi metto a chiacchierare col gruppo di clown. Sono un gruppo di animatori per bambini in situazioni di disagio in giro per il mondo e stavolta passano alcune settimane ad At-Tuwani. Sono riconoscibili per il caratteristico naso rosso e, alcuni, per altri simpatici dettagli quali un fiocchetto rosso alla barba. Scendiamo quindi tutti al pullman e ci rimettiamo in strada. Per fortuna è tardi e decidiamo di non fermarci a Betlemme: proprio in quelle ore ci sono degli scontri ed alcuni pacifisti italiani vengono arrestati.
Noi invece di dirigiamo decisamente verso Gerusalemme.
Doccia, cena e poi di nuovo al Sepolcro.
I ragazzi non ci sono ancora entrati ed è per loro la prima occasione.
Il monaco russo a guardia del Sepolcro fa parecchie sceneggiate e bisogna star proprio molto concentrati per non lasciarsi distrarre.
Alle 21h tutti fuori e quindi a visitare il Muro Occidentale in notturna.
Morta cerco di resiste fino all'albergo.

venerdì 20 agosto 2010

Gaza

Incontriamo Andrea della comunità di don Dossetti a Gerusalemme.
Pubblichiamo qui i nostri appunti dell'incontro.
Il file video è disponibile. Cercheremo di pubblicarne presto un estratto.

Vivono sul Monte degli Olivi e si dividono fra preghiera e lavoro con la popolazione.
Accolgono ospiti, ma non hanno strutture caritatevoli dirette.
Svolgono attività varie in collegamento con altre realtà:
Lorenzo lavora come guida a gruppi di pellegrini e servizio in carcere.
Andrea lavora al Patriarcato Latino di Gerusalemme e si occupa del sito web:

Conversando con Gerusalemme. Blog di fratel Paperoga in Terra Santa
Papefisico
(Vedi anche Famiglie della visitazione)


Assieme ad una suora loro conoscente lavorano come volontari nella striscia di Gaza: si tratta di piccoli interventi di effetto limitato, ma che permettono l'accesso alla striscia ed incontrare le persone. Per esempio, portare con fondi europei la merenda ai bambini delle scuole materne ed elementari, offrire sostegno economico alle famiglie indigenti per l'acquisto di cibo, procurare occhiali per bambini nelle scuole.

La striscia è sotto assedio da 3 anni.
Sono presenti circa 2000 cristiani, di cui solo meno di 200 sono cattolici.
La parrocchia è comunque molto vivace con suore e due preti.
Data la sua esiguità numerica, la vita della minoranza cristiana nella striscia è piuttosto dura, specie da quando è al governo un movimento musulmano quale Hamas.
Nel 2003 iniziò la costruzione del muro attorno alla Cisgiordania includendo però anche parte dei territori per non lasciare isolate alcune colonie.
Per entrare in Israele, i palestinesi di Cisgiordania necessitano di permessi speciali che vengono rilasciati solo su esplicita motivazione. Per esempio lo stesso cuoco della comunità ha forti difficoltà a venire al lavoro. I check-point interni alla Cisgiordania limitano ulteriormente gli spostamenti. A Gaza le colonie furono smantellate nel 2005, evacuando fra sei e otto mila coloni e un numero due volte maggiore di soldati posti a loro difesa. Da allora il territorio è chiuso e praticamente impossibile raggiungere il resto della Palestina.
Dopo che nel 2006 Hamas vinse le elezioni, la chiusura della striscia divenne ancora più rigida anche sulle merci. Anche le frontiere con l'Egitto sono attualmente chiuse, il che fa il gioco di Israele e degli USA. Mentre dalla Cisgiordania è possibile uscire attraverso la Giordania (meno banale rientrare...), da Gaza non si
esce. L'elettricità è disponibile solo 8 ore al giorno per scarsità di carburante; molta gente si è attrezzata con generatori portatili di elettricità.
Per i monaci non è stato difficile ottenere il permesso di entrata a Gaza, l'appartenenza alla Chiesa è stata determinante.
Molto più difficile è per i pacifisti, sia israeliani che europei che vengono spesso respinti alla frontiera. Per questo motivo molte volte devono entrare o via Egitto o con le famose navi. In caso riescano ad entrare, le manifestazioni ed attività sono spesso disperse con la forza. Un esempio di attività dei gruppi pacifisti è di scortare i contadini di Gaza a raccogliere ortaggi nei loro campi che si trovano nella no-man's land. Con le pettorine gialle che segnalano la loro appartenenza a gruppi internazionali sono relativamente protetti dalle angherie dell'esercito israeliano.

L'economia di Gaza si basa molto sugli aiuti dell'ONU tramite l'agenzia dei rifugiati e l'importazione di beni attraverso i tunnel scavati sotto la frontiera con l'Egitto. Molte aziende sono infatti state distrutte durante l'operazione piombo fuso e l'esportazione delle merci non è comunque autorizzata. Addirittura, la frutta in vendita nei suk è spesso di importazione da Israele.
In Giordania, i profughi palestinesi sono diventati cittadini a pieno titolo e si sono integrati nella popolazione. In altri paesi vivono tuttora in campi da generazioni: per questi profughi, l'aiuto dell'ONU è determinante, il che crea situazioni di dipendenza economica e parassitismo. Varia gente non vuole infatti abbandonare lo status di profugo, un po' nella speranza un giorno di rientrare, un po' per approfittare degli aiuti internazionali. Alcuni campi profughi sembrano ormai quartieri normali (p.es. il campo di Qalandia): sono distinguibili dal resto della città solo dalla stradine più strette e dalla diffusa povertà.


PS da vedere: su youtube i discorsi di Berlusconi prima alla knesset e poi all'ANP.

Parents Circle

Pubblichiamo gli appunti dell'incontro con due persone del Parents Circle.
(Il file video è troppo pesante per essere pubblicato integralmente
- chi è interessato ce lo può comunque chiedere e cerchiamo di pubblicarlo in forma temporanea. -
Cercheremo di estrarne i passaggi salienti per pubblicare quelli in forma definitiva.)

Sul loro sito web si presentano così:
"La pace è possibile, quando permettiamo a noi stessi di essere vulnerabili (...) i membri del "Parents Circle" ("Circolo I genitori") hanno sperimentato questa verità nel profondo della loro sofferenza e di perdita. Essi hanno riscontrato che vi è di più che ci unisce che quello che ci divide, che siamo Tutti i membri di una famiglia, la famiglia umana (...) "Desmond M. Tutu, arcivescovo emerito. Lettera ai genitori Circle - Forum Famiglie, aprile 2004


Si tratta, per quanto ne sappiamo, di un mondo precedente quello che ha portato le famiglie a vivere nel lutto di le vittime da entrambe le parti e a imbarcarsi in una missione di riconciliazione comune mentre il conflitto è ancora attivo.
Composto da diverse centinaia di famiglie in lutto, per metà israeliani e per metà palestinesi, le famiglie Forum hanno svolto un ruolo cruciale fin dalla loro nascita nel 1995, guidando un processo di riconciliazione tra israeliani e palestinesi. I membri del Forum hanno perso tutti i loro familiari diretti a causa della violenza nella regione.


A noi si presentano così:
"Prima di tutto noi siamo esseri umani.
Solo dopo di questo siamo un uomo israeliano ed una donna palestinese.
Siamo fratelli."


Lei è palestinese e vive vicino Hebron.
Lui è ebreo israeliano e vive a Gerusalemme da 7 generazioni.

Entrambi hanno pagato il prezzo più grande dalla guerra.

LUI
37 anni fa ha partecipato come soldato alla guerra dell o Yom Kippur.
Ha perso molti amici in combattimento.
Tornato a casa ha avuto 4 figli.
Sua figlia, nata 26 anni fa muore nel '97 a 14 anni in un attentato suicida a Gerusalemme.

Alla fine dei 7 giorni di lutto, cosa fare?

Due scelte possibili gli si presentano:
1) rabbia e desiderio di vendetta contro chi l'ha uccisa;
oppure, visto che la vendetta non aiuta ad averla indietro,
2) cercare di capire perché è successo.
Quali ragioni stiano dietro all'attentato?
Come fare perché non succeda di nuovo?

Un anno dopo incontra un ebreo religioso. Inizialmente lo prende per un fascista. Anche lui ha perso un figlio nel '94, ucciso da Hamas. Lo invita ad una riunione di persone che avevano perso i loro cari ma continuavano a credere nella pace. C'erano anche dei palestinesi.
È per lui la prima volta che riesce a vedere palestinesi come essere umani e condividere con loro il dolore.
Capito che non è una necessità ineluttabile continuare la guerra, si impegna a portare avanti questo messaggio. Cercando di aprire con la forza del dolore delle crepe nel muro che divide le due comunità.

Due suoi figli hanno fatto il soldato e ora sono membri di "combattants for peace". Il terzo figlio sta per partir soldato: da parte della famiglia ha una forte pressione per obiettare, ma se non parte rischia la prigione nonché difficoltà varie nella vita sociale e professionale.
Per il momento ha deciso di ritardare per un anno, poi vedrà...

LEI
Lei è nata sotto l'occupazione ed il conflitto.
A 14 già sostituiva nelle responsabilità domestiche la madre incarcerata per aver difeso la famiglia rifiutando di stare in silenzio e cercando piuttosto di parlare con gli enti internazionali quali la Croce Rossa.
Dopo l'arresto della madre, gran parte degli amici si allontanavano da loro.
Lei doveva accompagnare ogni giorno la sorella a scuola.
Tutti i fratelli sono stati prima o poi arrestati.
La madre fu libera di nuovo quando lei aveva 17 anni.
Per proteggerla, la madre cercò di darla al più presto in moglie.

Un giorno, mentre guidava, un fratello fu ferito da un colpo di arma da fuoco di un
colono; un ginocchio era in brutte condizioni e per evitare l'amputazione della gamba la madre dovette portarlo a curarsi in Arabia.
Riuscirono a curarlo a dovere.

Nel frattempo però un altro fratello (Youssef) fu ucciso da un soldato all'entrata del villaggio in modo incomprensibile: un colpo a bruciapelo dopo però che erano stati a parlare per minuti.
... "Solo due minuti" - continuava a ripeterci - "vi rendete conto? questo soldato gli ha sparato a sangue freddo... alla testa.. solo dopo aver parlato solo due minuti con lui... solo due minuti..."

La madre, tornata dall'Arabia, si avvicinò al Parents' Circle.
All'inizio lei rifiutava il loro messaggio e nutriva sentimenti di vendetta.
Poco dopo la madre morì di infarto (la nostra interlocutrice ci racconta questa perdita con un forte senso di colpa... quasi che la madre non abbia potuto reggere il dolore che, nonostante tutto il suo impegno a favore della pace, la figlia nutrisse sentimenti di vendetta).
Presto una signora ebrea si mise in contatto con lei e la portò nel Parents' Circle. Anche questa signora aveva perso un figlio nel conflitto. Su questa signora la nostra interlocutrice non ha alcun dubbio: "Questa signora è stata mandata a mia madre - morta - una signora israeliana, con la stessa forza combattiva di mia madre, che diceva le stesse cose che dicevo io, mandata a me che non riuscivo a perdonare e pensavo solo a vendicare... non poteva essere altro che un segno di mia madre...".

Più che una normale ONG, il Parents' Circle è quasi una famiglia.
Le attività dell'associazione mirano a risolvere il conflitto dal basso più che tramite accordi politici dall'alto: aprire canali di comunicazione telefonici e via internet fra le due parti, manifestare congiuntamente contro i bombardamenti, fare donazioni incrociate di sangue, lezioni in scuole superiori israeliane e palestinesi.
Il più delle volte risulta essere la prima volta in cui gli studenti vedono un israeliano e un palestinese lavorare assieme anziché demonizzarsi.
La reazione degli studenti varia molto a seconda della classe sociale.
La maggioranza è collaborativa e spesso apre gli occhi, ma a volta ci sono manifestazioni di disprezzo. C'è comunque grande rispetto per chi ha perso i suoi cari. E il fatto di vedere un israeliano e un palestinese accanto dà l'esempio.
Organizzano campi estivi per giovani delle due parti per capirsi e condividere; è fondamentale diffondere l'idea che se si combatte è contro un essere umano uguale a noi.
Infine allestiscono mostre a Tel Aviv in cui vendere prodotti Palestinesi, p.es. ricami.
Per molte persone palestinesi è la prima occasione di andare al mare.
Sotto nostra richiesta ci racconta poi dell'esperienza della madre e dei fratelli nelle prigione.
Le prigioni israeliane sono un luogo senza alcuna legge.
Tutto vi è lecito per ottenere informazioni.
Il fratello di lei vi fu torturato per ore perché parlasse della madre.
La madre a sua volta torturata per parlare del figlio.
Lo stesso suo figlio ha già avuto 11 processi, ma mai ufficialmente condannato.
Soldati entrano spesso nei villaggi ed arrestano in massa senza prove.
C'è la speranza che il comportamento dei soldati sotto le armi diventi più umano una volta che si diffonde l'idea che il "nemico" è lui stesso un essere umano.
Il governo israeliano non li sostiene, anzi li ostacola.
Lo slogan governativo è infatti che non c'è una controparte con cui trattare la pace, mentre loro dimostrano che una controparte esiste.

Israele-Palestina, 2 Agosto

Sveglia prima delle 6h per Sepolcro.
7h colazione con tutti.
7h30 rotta verso il convento di S. Vincenzo de Paoli dietro al Monte degli Ulivi.
Qui incontriamo Lorenzo ed Andrea.
Quest'ultimo ci racconta la sua esperienza di monaco dossettiano e la sua attività di
volontariato nella striscia di Gaza.

Qui i nostri appunti dell'incontro con Andrea.

Finito l'incontro prendiamo un bus che ci riporta verso l'orto dei Getsemani.
Dopo una breve visita alla chiesa della Dormizione entriamo in Gerusalemme attraverso la porta dei Leoni e poi la via Dolorosa.
Rientriamo al Sepolcro da sopra, passando per le celle dei monaci Etiopi; le varie "casette" che si vedono sul tetto del sepolcro sono infatti celle di monaci.

Pranzo libero, io e I. ci gustano un buon humus con pinoli e finalmente un caffè arabo.
Ci dirigiamo quindi verso il luogo dell'appuntamento giusto fuori della porta del Letame. Prima di scendere a capofitto per una discesa, ho dei dubbi riguardo direzione, chiedo informazioni ad un parcheggiatore. Non appena questi si rende conto che ci rivolgiamo a lui nel barbaro inglese si gira dall'altra parte e riprende a recitare le sue orazioni.
Arriviamo comunque senza eccessive difficoltà il punto di ritrovo.
Prima di avventurarci nel tunnel di Ezechia assistiamo ad un filmato sulla storia di Gerusalemme, in particolare sulla "città di David". Il filmato è ancor più propagandistico di quello di Cesarea, si apre e si chiude con una frase del tipo
"Jerusalem, the city where all has begun and where all will continue".
Alla faccia di tutti gli altri.

Tutti a mollo nel tunnel di Ezechia.
Nel bel mezzo siamo raggiunti da una mandria di bambini ebrei scatenati con cui inizia una guerra di canti. Loro rispondono anche con armi non convenzionali (io ero il fanalino di coda della nostra fila e alla fine del percorso non avevo solo le gambe bagnate).

La risalita verso la città passa fra lussuose case fortificate e offre una bella vista sul vicino sobborgo arabo di Silwan, uno dei più bellicosi e sconsigliati agli israeliani che non desiderino essere presi a sassate.
Recuperati E. e M. torniamo rapidamente al muro e poi in albergo per doccia e cena alle 18h. Dopo cena è infatti in programma l'incontro con due "fratelli" dell'associazione Parents' Circle. Questa riunisce israeliani e palestinesi che abbiano perso figli o fratelli a causa del conflitto.

Qui i link ai nostri appunti dell'incontro coi Parents Circle

L'incontro è stato fatto presto per poter finire presto in modo da consentire alla signora palestinese (che era venuta accompagnata) di poter rientrare a casa sua (vive vicino ad Hebron e le difficoltà al check-point per un palestinese non sono poche e il rischio di muoversi in serata è sempre quello di arrivare a casa veramente tardissimo).

Dopo cena c'è ancora tempo per una passeggiata nella Gerusalemme moderna: sembra di essere su un altro pianeta rispetto alla parte storica dov'eravamo stati finora. Si tratta infatti di una normale metropoli occidentale (US stile) con tanta gente in giro anche la sera, allegra e vivace. Se non fosse per le bandiere israeliane appese agli edifici e i gadgets di souvenir non ci si accorgerebbe del conflitto in corso. Alcuni ragazzi sfruttano la visita per rifornirsi di birre: il che richiede un tempo davvero biblico...
Alla fine pian pianino tutti in albergo a scrivere il diario e poi a dormire.

giovedì 19 agosto 2010

Ain Arik

Pubblichiamo gli appunti dell'incontro con Benedetto ed Elisabetta, monaci della comunità di don Dossetti presente ad Ain Arik (Ramallah).
(Il file video è troppo pesante per essere pubblicato integralmente
- chi è interessato ce lo può comunque chiedere e cerchiamo di pubblicarlo in forma temporanea. -
Cercheremo di estrarne i passaggi salienti per pubblicare quelli in forma definitiva.)

La presenza dei monaci dossettiani in Terrasanta risale all'inizio degli anni '70. A portarli in questa terra è da un lato il forte legame con le Scritture, dall'altro l'interesse e l'apertura di cuore verso altri mondi.
I primi anni di presenza furono di relativa libertà in veste quasi di "turisti". Tramite il Patriarca di Gerusalemme fu loro assegnata una chiesa in Giordania, desolata e distrutta. Una volta restaurata è divenuta nel 1983 la prima presenza stabile in Medio Oriente. Ora ospita 3 fratelli e 4 sorelle. La sede nel villaggio di Ain Arik è stata aperta successivamente su spinta del Patriarca nel 1989. Era già presente una comunità di Ortodossi. La presenza nel villaggio è di testimonianza e preghiera e di inserimento nella comunità: la messa viene detta in arabo in segno di apertura e radicamento nella popolazione.
La popolazione di Ain Arik conta circa 1600 persone.
La comunità cristiana cattolica di Ain Arik conta 35 famiglie per un totale di circa 150 persone. Ci sono poi circa 300 ortodossi e una maggioranza di musulmani.
La cura pastorale della comunità è una delle missioni dei monaci, precedentemente c'era solo un prete pendolare da Gerusalemme. Oltre a questo, la presenza cerca di sostenere la gente a restare e non emigrare (negli ultimi 50 anni c'è stato un forte spopolamento): per questo sono infatti necessari non solo aiuti finanziari da parte delle chiese europee, ma ancor di più il sostegno della chiesa universale con persone che vadano a vivere al loro fianco e non li facciano sentire abbandonati.
L'occupazione causa gravi limitazioni alla vita quotidiana, ma è comunque possibile vivere secondo il Vangelo: la popolazione resta nonostante tutto di animo mite e sopporta le umiliazioni.
La vita economica del villaggio è totalmente dipendente dalla vicina Ramallah: la farmacia esiste solo da pochi anni, un ambulatorio medico è aperto da qualche tempo, ma solo alcuni giorni alla settimana. Pure l'acqua corrente e il forno sono arrivati solo di recente.
Durante la seconda Intifada le strade furono bloccate per cui la gente fu costretta ad un'economia di sussistenza senza assistenza medica. La situazione toccò il massimo della gravità durante l'assedio di Ramallah. Grazie anche alla sua povertà, il villaggio di Ain Arik è rimasto comunque indenne dai bombardamenti. La gente si mantiene lavorando negli uffici di Ramallah oppure nell'edilizia: recentemente Ramallah ha infatti avuto un forte boom economico che ha richiesto la costruzione di interi nuovi quartieri: quasi tutti (pure i palestinesi) sono infatti ormai rassegnati ad avere Ramallah come capitale del futuro stato palestinese. Il boom edilizio è motivato dall'emergere di una classe dirigente palestinese molto corrotta che vive nel lusso accanto alle baracche dei poveri (gli aiuti internazionali finiscono molto spesso in ricchezze private).
Buona parte della popolazione dipende economicamente dall'aiuto di enti religiosi (cristiani o islamici a seconda del caso) per la propria vita quotidiana ma soprattutto per sostenere spese improvvise e il costo degli studi universitari dei giovani.
L'università di Ramallah esiste ma molto migliori sono l'università di Bir Zeit e l'università cattolica di Betlemme. Dopo l'Intifada è difficile da raggiungere da Ain Arik: non solo gli studenti, ma anche i professori hanno spesso difficoltà a passare i posti di blocco. Anche i docenti stranieri subiscono intralci e ritardi nei propri spostamenti, il che disturba non poco le attività didattiche. Un padre con documenti israeliani è stato spesso bloccato o arrestato in base ad una legge che impedisce l'ingresso dei cittadini israeliani nei territori: il pretesto della legge è di proteggere i cittadini da possibili violenze, ma l'effetto principale è di impedire l'attività dei gruppi pacifisti che, per esempio, protestano contro la costruzione del muro.
La popolazione originaria di Ain Arik era fino al '48 per metà cristiana e per metà musulmana e abitava solo un lato della valle. Il resto del villaggio fu costruito per accogliere profughi scacciati da altre zone della Palestina dalle truppe israeliane. Tuttora quella zona della città è chiamata "campo profughi", anche se ormai non si tratti più di tende ma di (brutte) case in cemento. Nei dintorni ci sono vari insediamenti israeliani, costruiti con precisi criteri urbanistici in modo da spezzare la continuità territoriale della Palestina. Con documenti palestinesi c'è bisogno di permessi dell'autorità militare per spostarsi da una parte all'altra dei territori. Per questo motivo capita che gente celebri matrimoni ad Ain Arik per permettere ai parenti di partecipare. Vari trattamenti sanitari (p.es. la chemioterapia) sono disponibili solo a Gerusalemme: anche in presenza di malattie croniche, i permessi vengono rilasciati volta per volta. Anche in caso di patologie gravi il passaggio dei posti di blocco è possibile solo a piedi. Anche le merci si spostano difficilmente, per cui si vendono a prezzi stracciati nelle zone di produzione. Al contrario, le merci di produzione israeliana non hanno problemi di trasporto, per cui invadono il mercato palestinese: gran parte dei prodotti disponibili in Palestina sono quindi di produzione israeliana.
I Palestinesi hanno ereditato i caratteri di mitezza e di capacità di sopportazione delle avversità dei beduini. Rispetto ad altre popolazioni arabe sono più civilizzati. In particolare i cristiani sono molto fermi e resistenti alle avversità. Il Patriarcato latino di Gerusalemme include Israele, la Palestina, la Giordania e Cipro.
L'emigrazione dei giovani punta agli Stati Uniti, l'Unione Europea e l'Australia. Per partire occorre spesso sfruttare i meccanismi di ricongiungimento familiare con partenti emigrati in precedenza, finanche ad inizio '900.
Fino al '48 Ramallah era quasi completamente cristiana, si è riempita di musulmani dopo il '48.
I giovani hanno ben poche possibilità qua, per cui cercano di scappare appena possibile. Le famiglie sono comunque molto numerose: il controllo delle nascite è estraneo alla cultura locale, sia musulmana che cristiana. La crescita demografica è anzi un'arma politica contro Israele che la teme moltissimo, sia al suo interno che nei territori. In Israele il grosso della popolazione è ateo, ma dal '67 in poi le comunità religiose hanno interpretato la nascita dello stato di Israele e il trionfo nella guerra dei 6 giorni come un fatto voluto da Dio. Queste frange estremiste sono adesso molto pericolose in quanto mescolano convinzioni religiose estremiste al nazionalismo bellicoso. Restano comunque sparuti gruppetti religiosi che rifiutano ogni commistione con lo stato di Israele, che viene visto quasi come una bestemmia (così come l'uso dell'ebraico biblico come lingua di tutti i giorni anzichè l'aramaico). Questi gruppetti sono addirittura sostenitori di una stato palestinese: il loro capo andò infatti ad omaggiare Arafat di ritorno dopo aver firmato gli accordi di Oslo e si offrì come ministro per gli affari ebraici dello stato palestinese. In caso di un accordo con i palestinesi per creare uno stato palestinese indipendente, ci sono forti rischi di guerra civile all'interno di Israele e con i coloni che verrebbero espulsi dai territori palestinesi. I parlamentari palestinesi sono eletti con criteri di quote religiose. Gran parte dei cristiani sono in Al Fatah, e qualcuno coi comunisti. Le varie comunità religiose condividono la lingua e gran parte dei costumi. La convivenza è stata generalmente buona anche se talvolta le differenze di numero hanno causato delle tensioni. La convivenza è stata favorita dalla situazione di occupazione.

mercoledì 18 agosto 2010

Israele-Palestina, 1 Agosto

Colazione 6h30.
Bus diretto per Ramallah.
Passiamo per il check point senza scendere.





A Ramallah recuperiamo due taxi gialli scalcinati che ci portano fino ad Ain Arik. Io parto su quello davanti: V. era preoccupata che perdessimo l'altro e mi fa controllare che il "93" fosse dietro. Ad un certo punto però sparisce con grande preoccupazione della V. Tutt'ad un tratto un pulmino giallo sbuca da un angolo giusto davanti a noi e ci taglia la strada. Ora il "93" ci precede e i ruoli sono scambiati.
Stessa storia vista dal "93": Ad un certo punto il pulmino davanti svolta improvvisamente a destra. Noi invece tiriamo diritto con l'autista che inizia ad imprecare con parole arabe molto probabilmente da censurare. Lo ritroviamo poco dopo dietro di noi. Al che l'autista inizia a sporgersi dal finestrino facendo il segno del telefono all'autista dietro. Prontamente il suo cellulare squilla e iniziano a parlare. Ovviamente la conversazione non ferma la guida: una mano per il cellulare, una per la sigaretta e ??? per il volante... ???
In un modo o nell'altro arriviamo comunque ad Ain Arik sani e salvi.

Qui incontriamo i monaci e le monache di don Dossetti.
La messa è in arabo.
In nostro onore sono comunque disponibili dei foglietti con la Messa traslitterata in caratteri occidentali.

Le pie donne arabe sono numerose, vestite all'occidentale, e cantano a squarciagola quasi come le nostre pie donne italiane; mentre gli uomini della comunità sono completamente assenti. Ne chiediamo il motivo ai monaci: è normale che gli uomini non si facciano vedere a messa e non è dovuto alla nostra presenza. Alcune volte seguono la messa da fuori della chiesa, ma il più delle volte proprio restano a casa o hanno da lavorare.
Dopo la messa ci sediamo in uno stanzone accanto alla chiesa dove suor Elisabetta, padre Benedetto e padre Anastasio ci raccontano le loro esperienze in Medio Oriente, prima Giordania e poi Palestina.

Gli appunti dell'incontro sono postati a questo link:
Ain Arik


Alla fine della chiacchierata acquistiamo alcuni loro manufatti e poi scendiamo in paese e accompagnati da padre Anastasio andiamo a pranzo in un vicino ristorante. Ci sistemano in un giardino sotto un tendone e nonostante il caldo ci gustiamo un pasto decisamente appetitoso. Antipasto con pane arabo e salsine... talmente buone che ero già piena... ma non si poteva dire di no all'ottima carne alla grigia che è arrivata dopo. Padre Anastasio (che l'oste chiama "Abuna") ci racconta storie della sua vita in Palestina, per esempio di quando viveva a Gerico in una casa di terra: molto più fresca di una casa in mattoni, e ancor di più di una casa in cemento. Unico problema, ogni anno bisognava fare seria manutenzione del tetto. In quel ristorante siamo gli unici clienti e ci trattano da veri nababbi per una decina di euro a testa. Come facciano a sopravvivere è per noi un mistero. Oltretutto sembra che gli stessi proprietari abbiano un altro locale poco lontano. Ci raccontano che spesso portano il pranzo ai lavoratori in paese, ma ci sembra difficile che questo basti. Alle due i ristoratori ci chiamano un taxi (ovviamente palestinese) che ci riporta verso Gerusalemme.
Io mi addormento come un sasso e mi risveglio solo al check point che questa volta è ben più serio che all'andata. Dobbiamo infatti scendere tutti e avanzare a piedi verso il controllo passaporti. Il nostro taxi avendo targa bianco-verde palestinese (anziché la gialla degli israeliani) non può infatti portarci fino a Gerusalemme. La fila ai controlli è molto lunga e dobbiamo lottare con un bimbo che cerca in tutti i modi di venderci una bottiglietta d'acqua. Quasi tutti riusciamo a passare rapidamente il controllo passaporti salvo E. che viene fermata per non avere il timbro di ingresso sul passaporto. La situazione si sblocca comunque poco dopo, basta infatti convincere il doganiere che fanno parte di un gruppo di cui il grosso è già passato (solo la povera E. se l'è dovuta cavare da sola perché era l'ultima della fia e noi eravamo già passati tutti... ma è stata bravissima).
Prendiamo bus separati ma riusciamo comunque a ritrovarci tutti a Gerusalemme. Poco davanti a noi siede un tipo piuttosto anonimo che al check-point mi aveva lanciato qualche insulto in quanto cristiana
"Jews will be the only one, Handicapped christians!".

Una volta arrivati anche F con gli ultimi della truppa partiamo verso il Muro Occidentale.
Io vado con E. in taxi. Ci facciamo lasciare subito fuori dalla porta del letame, ma la salita fino al check point all'entrata della piazza del Muro è notevole: le ciabattine scivolose e la pendenza del 15% mi stendono sotto la carrozzina di E.: senza il suo aiuto sarei senz'altro scivolata all'indietro.
Aspettiamo gli altri ai lavandini delle abluzioni.
Visita al muro occidentale.
Rientriamo in albergo, doccia e cena.
Nel dopo cena, una rapida puntata al Santo Sepolcro ad assistere alla chiusura del portone da parte del custode e poi tutti in branda.

martedì 17 agosto 2010

Israele-Palestina, 31 Luglio

Sveglia 7h30 al Tabor, colazione e, per chi vuole, messa e lodi in basilica (Trasfigurazione).
Discesa a piedi dal monte.

Stavolta non ci era stato consegnato il silenzio... ma... chissà... forse era stato così bello la sera prima salire senza schiamazzi che questo clima si rigenera automaticamente.
Prendiamo la strada per Gerico passando per una serie di villaggi arabi prima di raggiungere il posto di blocco all'entrata della Cisgiordania.


Avendo la targa "giusta", lo superiamo senza neanche un controllo di passaporto. La strada attraversa la zona desertica all'estremità est della Cisgiordania, vicino al fiume Giordano che segna il confine con la Giordania; si tratta quindi della zona di sicurezza posta a difesa dei confini.


Lungo la strada incontriamo infatti un paio di prigioni

e vari insediamenti tutti ben recintati e difesi.
Quelli più ampi, in genere legali,

dispongono al loro interno dei servizi essenziali quali lo spaccio e sono fatti di casette tutte uguali, nuove con una urbanistica ben pensata e funzionale (alcuni hanno carrarmati a difesa del filo spinato di recinzione).

Incontriamo poi anche varie caserme dell'esercito con carriarmati parcheggiati,

nonché gruppi di tende di beduini accampati nel deserto

(queste popolazioni sembra che abbiano aiutato i ricercatori a ricostruire i riti e le abitudini dei tempi della scrittura in qunato mantengono ancora inalterati usi e costumi da più di 2000 anni).
Arrivati a Gerico, la prima fermata è al sicomoro di Zaccheo (?) dove siamo immediatamente preda di un paio di ambulanti che ci vendono delle cartoline (orribili).
La seconda fermata è ai piedi di un monastero rupestre nel deserto delle tentazioni.

L'autista che ci ha accompagnato in questo viaggio è molto gentile. Acconsentiamo quindi a lasciarci portare da lui in un locale a pranzo (è abbastanza comune che centri turistici di lusso facciano amicizia con gli autisti dei bus e, probabilmente per scambi di favori o ritorni economici, questi cerchino di portare i loro trasportati in questi posti). Il locale ha un nome tutto un programma: "centro delle tentazioni". Lo sfarzo è imbarazzante. Venimao accolti da bambini con vassoi di caramelle, altoparlanti che davano il benvenuto agli italiani, belle ragazze ci fanno strada lungo scale attorniate da fontane e lustrini, per poi arrivare in una sala da pranzo stile arabeggiante con self service apposta per noi italiani con il "padrone" che ci incoraggia a sbrigarci.. Tutto molto pacchiano e modellato sulle esigenze estetiche dei turisti occidentali pronti a spendere qualunque cifra pur di autoconvincersi che il luogo che stanno visitando è identico a quello in cui risiedono... eccetto la sovrabbondante ed "assolutamente disinteressata" cortesia.
Il risotorante è al primo piano, al piano terra c'è un centro commerciale che vende prodotti cosmetici del mar Morto e gadgets vari a prezzi decuplicati rispetto per esempio ai negozietti di Gerusalemme.
Il disagio che proviamo è generalizzato e siamo tutti un po' persi in questo lusso. I. intorta F. sulla corruzione dell'amministrazione palestinese e sulla gestione "mafiosa" degli aiuti economici dell'incauta Europa. (L'impressione è che alcune delle spese che vanno sotto il nome di "aiuti umanitari" siano in realtà gestite, anche e in buona fede da parte europea - forse solo per ignoranza - in collaborazione con quei palestinesi che in fin dei conti hanno come unico scopo quello del lucro personale).
Prima di ripartire compriamo alcuni vassoietti di frutta secca nella speranza che di "sgonfiare" le molte pance.
E. e F. ottengono finalmente il loro giro a cammello attorno alla pompa di benzina per la modica cifra di 20 NIS,

sotto gli occhi disinteressati di una pattuglia di soldati israeliani che presidiano la strada in equipaggiamento completo sotto un sole cocente.

La strada per Gerusalemme entra in città dal lato est, dal lato quindi palestinese: ma anziché villaggi, non vediamo praticamente che grossi insediamenti sulla cima delle colline. Gran parte della popolazione di questi insediamenti lavora a Gerusalemme e, più che di convinzione ideologica, fa la vita del colono per motivi economici.
Il pullman ci lascia a porta Erode e raggiungiamo in pochi minuti l'albergo, situato in una zona commerciale di arabi. Arabi mussulmani sono pure i gestori dell'albergo. Tutta questa gente si è ritrovata in Israele dopo la conquista di Gerusalemme est nel '67 e fino ad ora "gode" di diritti civili e politici solo parziali. Per esempio, non votano per il parlamento, ma solo per l'amministrazione locale.
La visita di Gerusalemme inizia dal Monte degli Ulivi. In un insolito gran caldo (ma che fine ha fatto il tanto caro bel clima di Gerusalemme?) ci fermiamo ai sette archi

a parlare un po' della città (il panorama lo permette nonostante l'afa).

Rientriamo in albergo dove dobbiamo lottare con insetti invasori nelle stanze, ma soprattutto col caldo umido (in realtà siamo tutti abbastanza contenti perché le previsioni erano di lotta con le blatte per tutta la stanza e invece, essendo stati messi al terzo piano, veniamo raggiunti solo dalle formiche più snelle). Ad ogni modo finalmente anche noi donne abbiamo una sorta di doccia in camera... il bagno fa quel che può... però almeno scende l'acqua per lavasi.