giovedì 23 febbraio 2012

Un appello agli intellettuali europei - Par un collectif d’intellectuels et d’artistes européens

di VICKY SKOUMBI, DIMITRIS VERGETIS, MICHEL SURYA*

Nel momento in cui un giovane greco su due è disoccupato, 25.000 persone
senza tetto vagano per le strade di Atene, il 30 per cento della popolazione
è ormai sotto la soglia della povertà, migliaia di famiglie sono costrette a
dare in affidamento i bambini perché non crepino di fame e di freddo e i
nuovi poveri e i rifugiati si contendono l'immondizia nelle discariche
pubbliche, i "salvatori" della Grecia, col pretesto che i Greci "non fanno
abbastanza sforzi", impongono un nuovo piano di aiuti che raddoppia la dose
letale già somministrata. Un piano che abolisce il diritto del lavoro e
riduce i poveri alla miseria estrema, facendo contemporaneamente scomparire
dal quadro le classi medie.

L'obiettivo non è il "salvataggio"della Grecia: su questo punto tutti gli
economisti degni di questo nome concordano. Si tratta di guadagnare tempo
per salvare i creditori, portando nel frattempo il Paese a un fallimento
differito.Si tratta soprattutto di fare della Grecia il laboratorio di un
cambiamento sociale che in un secondo momento verrà generalizzato a tutta
l'Europa. Il modello sperimentato sulla pelle dei Greci è quello di una
società senza servizi pubblici, in cui le scuole, gli ospedali e i
dispensari cadono in rovina, la salute diventa privilegio dei ricchi e la
parte più vulnerabile della popolazione è destinata a un'eliminazione
programmata, mentre coloro che ancora lavorano sono condannati a forme
estreme di impoverimento e di precarizzazione.

Ma perché questa offensiva neoliberista possa andare a segno, bisogna
instaurare un regime che metta fra parentesi i diritti democratici più
elementari. Su ingiunzione dei salvatori, vediamo quindi insediarsi in
Europa dei governi di tecnocrati in spregio della sovranità popolare. Si
tratta di una svolta nei regimi parlamentari, dove si vedono i
"rappresentanti del popolo" dare carta bianca agli esperti e ai banchieri,
abdicando dal loro supposto potere decisionale. Una sorta di colpo di stato
parlamentare, che fa anche ricorso a un arsenale repressivo amplificato di
fronte alle proteste popolari. Così, dal momento che i parlamentari avranno
ratificato la Convenzione imposta dalla Troika (Ue, Bce, Fmi),
diametralmente opposta al mandato che avevano ricevuto, un potere privo di
legittimità democratica avrà ipotecato l'avvenire del Paese per 30 o 40
anni.

Parallelamente, l'Unione europea si appresta a istituire un conto bloccato
dove verrà direttamente versato l'aiuto alla Grecia, perché venga impiegato
unicamente al servizio del debito. Le entrate del Paese dovranno essere "in
priorità assoluta" devolute al rimborso dei creditori e, se necessario,
versate direttamente su questo conto gestito dalla Ue. La Convenzione
stipula che ogni nuova obbligazione emessa in questo quadro sarà regolata
dal diritto anglosassone, che implica garanzie materiali, mentre le vertenze
verranno giudicate dai tribunali del Lussemburgo, avendo la Grecia
rinunciato anticipatamente a qualsiasi diritto di ricorso contro sequestri e
pignoramenti decisi dai creditori. Per completare il quadro, le
privatizzazioni vengono affidate a una cassa gestita dalla Troika, dove
saranno depositati i titoli di proprietà dei beni pubblici.. In altri
termini, si tratta di un saccheggio generalizzato, caratteristica propria
del capitalismo finanziario che si dà qui una bella consacrazione
istituzionale.

Poiché venditori e compratori siederanno dalla stessa parte del tavolo, non
vi è dubbio alcuno che questa impresa di privatizzazione sarà un vero
festino per chi comprerà.

Ora, tutte le misure prese fino a ora non hanno fatto che accrescere il
debito sovrano greco, che, con il soccorso dei salvatori che fanno prestiti
a tassi di usura, è letteralmente esploso sfiorando il 170% di un Pil in
caduta libera, mentre nel 2009 era ancora al 120%. C'è da scommettere che
questa coorte di piani di salvataggio - ogni volta presentati come 'ultimi'-
non ha altro scopo che indebolire sempre di più la posizione della Grecia,
in modo che, privata di qualsiasi possibilità di proporre da parte sua i
termini di una ristrutturazione, sia costretta a cedere tutto ai creditori,
sotto il ricatto "austerità o catastrofe". L'aggravamento artificiale e
coercitivo del problema del debito è stato utilizzato come un'arma per
prendere d'assalto una società intera. E non è un caso che usiamo qui dei
termini militare: si tratta propriamente di una guerra, condotta con i mezzi
della finanza, della politica e del diritto, una guerra di classe contro
un'intera società. E il bottino che la classe finanziaria conta di strappare
al 'nemico' sono le conquiste sociali e i diritti democratici, ma, alla fine
dei conti, è la stessa possibilità di una vita umana. La vita di coloro che
agli occhi delle strategie di massimizzazione del profitto non producono o
non consumano abbastanza non dev'essere più preservata.

E così la debolezza di un paese preso nella morsa fra speculazione senza
limiti e piani di salvataggio devastanti diviene la porta d'entrata
mascherata attraverso la quale fa irruzione un nuovo modello di società
conforme alle esigenze del fondamentalismo neoliberista. Un modello
destinato all'Europa intera e anche oltre. E' questa la vera questione in
gioco. Ed è per questo che difendere il popolo greco non si riduce solo a un
gesto di solidarietà o di umanità: in gioco ci sono l'avvenire della
democrazia e le sorti del popolo europeo.

Dappertutto la "necessità imperiosa" di un'austerità dolorosa ma salutare ci
viene presentata come il mezzo per sfuggire al destino greco, mentre vi
conduce dritto. Di fronte a questo attacco in piena regola contro la
società, di fronte alla distruzione delle ultime isole di democrazia,
chiediamo ai nostri concittadini, ai nostri amici francesi e europei di
prendere posizione con voce chiara e forte. Non bisogna lasciare il
monopolio della parola agli esperti e ai politici. Il fatto che, su
richiesta dei governanti tedeschi e francesi in particolare, alla Grecia
siano ormai impedite le elezioni può lasciarci indifferenti? La
stigmatizzazione e la denigrazione sistematica di un popolo europeo non
meritano una presa di posizione? E' possibile non alzare la voce contro
l'assassinio istituzionale del popolo greco? Possiamo rimanere in silenzio
di fronte all'instaurazione a tappe forzate di un sistema che mette fuori
legge l'idea stessa di solidarietà sociale?

Siamo a un punto di non ritorno. E' urgente condurre la battaglia di cifre e
la guerra delle parole per contrastare la retorica ultra-liberista della
paura e della disinformazione. E' urgente decostruire le lezioni di morale
che occultano il processo reale in atto nella società. E diviene più che
urgente demistificare l'insistenza razzista sulla "specificità greca" che
pretende di fare del supposto carattere nazionale di un popolo (parassitismo
e ostentazione a volontà) la causa prima di una crisi in realtà mondiale.
Ciò che conta oggi non sono le particolarità, reali o immaginari, ma il
comune: la sorte di un popolo che contagerà tutti gli altri.

Molte soluzioni tecniche sono state proposte per uscire dall'alternativa "o
la distruzione della società o il fallimento" (che vuol dire, lo vediamo
oggi, sia la distruzione sia il fallimento). Tutte vanno prese in
considerazione come elementi di riflessione per la costruzione di un'altra
Europa. Prima di tutto però bisogna denunciare il crimine, portare alla luce
la situazione nella quale si trova il popolo greco a causa dei "piani
d'aiuto" concepiti dagli speculatori e i creditori a proprio vantaggio.
Mentre nel mondo si tesse un movimento di sostegno e Internet ribolle di
iniziative di solidarietà, gli intellettuali saranno gli ultimi ad alzare la
loro voce per la Grecia? Senza attendere ancora, moltiplichiamo gli
articoli, gli interventi, i dibattiti, le petizioni, le manifestazioni. Ogni
iniziativa è la benvenuta, ogni iniziativa è urgente. Da parte nostra ecco
che cosa proponiamo: andare velocemente verso la formazione di un comitato
europeo di intellettuali e di artisti per la solidarietà con il popolo greco
che resiste. Se non lo facciamo noi, chi lo farà? Se non adesso, quando?

*Rispettivamente redattrice e direttore della rivista Aletheia di Atene e
direttore della rivista Lignes, Parigi.

Prime adesioni: Daniel Alvaro, Alain Badiou, Jean-Christophe Bailly, Etienne
Balibar, Fernanda Bernardo, Barbara Cassin, Bruno Clement, Danièle
Cohen-Levinas, Yannick Courtel, Claire Denis, Georges Didi-Hubermann, Ida
Dominijanni, Roberto Esposito, Francesca Isidori, Pierre-Philippe Jandin,
Jérome Lebre, Jean-Clet Martin, Jean-Luc Nancy, Jacques Ranciere, Judith
Revel, Elisabeth Rigal, Jacob Rogozinski, Avital Ronell, Ugo Santiago, Beppe
Sebaste, Michèle Sinapi, Enzo Traverso

-------------------------

Par un collectif d’intellectuels et d’artistes européens

Au moment où un jeune Grec sur deux est au chômage, où 25 000 SDF errent dans les rues d’Athènes, où 30% de la population est tombée sous le seuil de pauvreté, où des milliers de familles sont obligées de placer leurs enfants pour qu’ils ne crèvent pas de faim et de froid, où nouveaux pauvres et réfugiés se disputent les poubelles dans les décharges publiques, les «sauveurs» de la Grèce, sous prétexte que les Grecs «ne font pas assez d’efforts», imposent un nouveau plan d’aide qui double la dose létale administrée. Un plan qui abolit le droit du travail, et qui réduit les pauvres à l’extrême misère, tout en faisant disparaître du tableau les classes moyennes.

Le but ne saurait être le «sauvetage» de la Grèce : sur ce point, tous les économistes dignes de ce nom sont d’accord. Il s’agit de gagner du temps pour sauver les créanciers tout en menant le pays à une faillite différée. Il s’agit surtout de faire de la Grèce le laboratoire d’un changement social qui, dans un deuxième temps, se généralisera à toute l’Europe. Le modèle expérimenté sur les Grecs est celui d’une société sans services publics, où les écoles, les hôpitaux et les dispensaires tombent en ruine, où la santé devient le privilège des riches, où les populations vulnérables sont vouées à une élimination programmée, tandis que ceux qui travaillent encore sont condamnés aux formes extrêmes de la paupérisation et de la précarisation.

Mais pour que cette offensive du néolibéralisme puisse arriver à ses fins, il faut instaurer un régime qui fait l’économie de droits démocratiques les plus élémentaires. Sous l’injonction des sauveurs, on voit donc s’installer en Europe des gouvernements de technocrates qui font fi de la souveraineté populaire. Il s’agit d’un tournant dans les régimes parlementaires où l’on voit les «représentants du peuple» donner carte blanche aux experts et aux banquiers, abdiquant leur pouvoir décisionnel supposé. Un coup d’Etat parlementaire en quelque sorte, qui fait aussi appel à un arsenal répressif amplifié face aux protestations populaires. Ainsi, dès lors que les députés ont ratifié la convention dictée par la troïka (l’Union européenne, la Banque centrale européenne et le Fonds monétaire international), diamétralement opposée au mandat qu’ils avaient reçu, un pouvoir dépourvu de légitimité démocratique aura engagé l’avenir du pays pour trente ou quarante ans.

Parallèlement l’Union européenne s’apprête à constituer un compte bloqué où serait directement versée l’aide à la Grèce afin qu’elle soit employée uniquement au service de la dette. Les recettes du pays devraient être en «priorité absolue» consacrées au remboursement de créanciers, et, si besoin est, directement versées à ce compte géré par l’Union européenne. La convention stipule que toute nouvelle obligation émise dans son cadre sera régie par le droit anglais, qui engage des garanties matérielles, alors que les différends seront jugés par les tribunaux du Luxembourg, la Grèce ayant renoncé d’avance à tout droit de recours contre une saisie décidée par ses créanciers. Pour compléter le tableau, les privatisations sont confiées à une caisse gérée par la troïka, où seront déposés les titres de propriété de biens publics. Bref, c’est le pillage généralisé, trait propre du capitalisme financier qui s’offre ici une belle consécration institutionnelle. Dans la mesure où vendeurs et acheteurs siégeront du même côté de la table, on ne doute guère que cette entreprise de privatisation soit un vrai festin pour les repreneurs.

Or toutes les mesures prises jusqu’à maintenant n’ont fait que creuser la dette souveraine grecque et, avec le secours de sauveurs qui prêtent à des taux usuraires, celle-ci a carrément explosé en approchant des 170% d’un PIB en chute libre, alors qu’en 2009 elle n’en représentait encore que 120%. Il est à parier que cette cohorte de plans de sauvetage - à chaque fois présentés comme «ultimes» - n’a eu d’autre but que d’affaiblir toujours davantage la position de la Grèce de sorte que, privée de toute possibilité de proposer elle-même les termes d’une restructuration, elle soit réduite à tout céder à ses créanciers sous le chantage de «la catastrophe ou l’austérité».

L’aggravation artificielle et coercitive du problème de la dette a été utilisée comme une arme pour prendre d’assaut une société entière. C’est à bon escient que nous employons ici des termes relevant du domaine militaire : il s’agit bel et bien d’une guerre conduite par les moyens de la finance, de la politique et du droit, une guerre de classe contre la société entière. Et le butin que la classe financière compte arracher à «l’ennemi», ce sont les acquis sociaux et les droits démocratiques, mais au bout du compte, c’est la possibilité même d’une vie humaine. La vie de ceux qui ne produisent ou ne consomment pas assez au regard des stratégies de maximisation du profit, ne doit plus être préservée.

Ainsi, la faiblesse d’un pays pris en étau entre la spéculation sans limites et les plans de sauvetage dévastateurs, devient la porte dérobée par où fait irruption un nouveau modèle de société conforme aux exigences du fondamentalisme néolibéral. Modèle destiné à toute l’Europe et plus si affinités. C’est le véritable enjeu et c’est pour cela que défendre le peuple grec ne se réduit pas à un geste de solidarité ou d’humanité abstraite : l’avenir de la démocratie et le sort des peuples européens sont en question. Partout la «nécessité impérieuse» d’une austérité «douloureuse, mais salutaire» va nous être présentée comme le moyen d’échapper au destin grec, alors qu’elle y mène tout droit.

Devant cette attaque en règle contre la société, devant la destruction des derniers îlots de la démocratie, nous appelons nos concitoyens, nos amis français et européens à s’exprimer haut et fort. Il ne faut pas laisser le monopole de la parole aux experts et aux politiciens. Le fait qu’à la demande des dirigeants allemands et français en particulier la Grèce soit désormais interdite d’élections peut-il nous laisser indifférents ? La stigmatisation et le dénigrement systématique d’un peuple européen ne mériteraient-ils pas une riposte ? Est-il possible de ne pas élever sa voix contre l’assassinat institutionnel du peuple grec ? Et pouvons-nous garder le silence devant l’instauration à marche forcée d’un système qui met hors la loi l’idée même de solidarité sociale ?

Nous sommes au point de non-retour. Il est urgent de mener la bataille des chiffres et la guerre des mots pour contrer la rhétorique ultralibérale de la peur et de la désinformation. Il est urgent de déconstruire les leçons de morale qui occultent le processus réel à l’œuvre dans la société. Il devient plus qu’urgent de démystifier l’insistance raciste sur la «spécificité grecque», qui prétend faire du caractère national supposé d’un peuple (paresse et roublardise à volonté) la cause première d’une crise en réalité mondiale. Ce qui compte aujourd’hui ne sont pas les particularités, réelles ou imaginaires, mais les communs : le sort d’un peuple qui affectera tous les autres.

Bien des solutions techniques ont été proposées pour sortir de l’alternative «ou la destruction de la société ou la faillite» (qui veut dire, on le voit aujourd’hui : «et la destruction et la faillite»). Toutes doivent être mises à plat comme éléments de réflexion pour la construction d’une autre Europe. Mais d’abord il faut dénoncer le crime, porter au grand jour la situation dans laquelle se trouve le peuple grec à cause des «plans d’aide» conçus par et pour les spéculateurs et les créanciers. Au moment où un mouvement de soutien se tisse autour du monde, où les réseaux d’Internet bruissent d’initiatives de solidarité, les intellectuels français seraient-ils donc les derniers à élever leur voix pour la Grèce ? Sans attendre davantage, multiplions les articles, les interventions dans les médias, les débats, les pétitions, les manifestations. Car toute initiative est bienvenue, toute initiative est urgente.

Pour nous, voici ce que nous proposons : aller très vite vers la formation d’un comité européen des intellectuels et des artistes pour la solidarité avec le peuple grec qui résiste. Si ce n’est pas nous, ce sera qui ? Si ce n’est pas maintenant, ce sera quand ?

Vicky Skoumbi, rédactrice en chef de la revue «Alètheia», Athènes, Michel Surya, directeur de la revue «Lignes», Paris, Dimitris Vergetis, directeur de la revue «Alètheia», Athènes. Et : Daniel Alvara,Alain Badiou, Jean-Christophe Bailly, Etienne Balibar, Fernanda Bernardo, Barbara Cassin, Bruno Clément, Danielle Cohen-Levinas, Yannick Courtel, Claire Denis, Georges Didi-Huberman, Roberto Esposito, Francesca Isidori, Pierre-Philippe Jandin, Jérôme Lèbre, Jean-Clet Martin, Jean-Luc Nancy, Jacques Rancière, Judith Revel, Elisabeth Rigal, Jacob Rogozinski, Hugo Santiago, Beppe Sebaste, Michèle Sinapi, Enzo Traverso.


Dal blog di Francesco Moretti: sopravvivereingrecia.blogspot.com

Nessun commento: